di Giuseppe Panella 22 febbraio 2017
leggi in pdf Sinopie
Una sinopia è, nel linguaggio tecnico dei percorsi storico-artistici, il disegno preparatorio di un affresco, la sua fase iniziale che però si perde e si annulla nell’opera finale al momento della realizzazione compiuta di essa. Senza di essa, tuttavia, e senza la traccia lasciata sull’intonaco preparato per la pittura, l’opera pittorica non avrebbe corso e forse non avrebbe neppure senso.
Le “sinopie segrete “ del titolo alludono evidentemente al segreto corso della poesia, alla traccia nascosta che collega parole e immagini nell’ordito dell’ispirazione lirica.
Allude, tuttavia, anche e soprattutto alla mano del poeta che traccia linee di passaggio che collegano i suoi sogni e le sue emozioni alle parole designate per definirle e poi comunicarle a chi è in grado di accettarle e assimilarle come tali. La “sinopia segreta” del titolo allude probabilmente a questa necessità di produrre parole e versi che passano attraverso situazioni, spesso minime o non necessariamente significative come accadimenti, ma capaci di segnare e produrre impercettibili graffi sulla superficie verbale della realtà.
«Il commerciante di sogni. Il mondo parla pagina dopo pagina. / Non chiedermi / il senso del discorso / non puoi capire le sfumature / della parola nella mente // A volte sogno oppure rido / se mi osservi sembro / un uomo assente solo / ma non scorgi il lampo / corroso dello sguardo // Una folla di persone passa / saluta e chiede / Poggio il libro sul bancone / sorrido gentile / e rispondo ai fantasmi di carta» (p. 56).
“Scorgere il lampo dello sguardo” e trasportarlo sulla pagina è il compito della poesia. “Parlare pagina dopo pagina” è l’attività del poeta che osserva e attende la visita della poesia, pratica che richiede tempo e gentilezza, pazienza e abbandono al sogno. “I fantasmi di carta” della scrittura attendono soltanto di essere evocati ma chi riesce a farlo ottiene il risultato di riuscire a vendere la sua capacità di sfogliare il mondo. Il poeta se ne sta seduto “sul far della sera” e attende un’illuminazione che gli permetta di dar senso a ciò che gli succede come spettatore dello squadernarsi infinito del mondo. Per Baldassarre, allora, scrivere poesia significa scandire il tempo dell’attesa delle parole che gli permettano di dire ciò che sta avvenendo nel mondo, ciò che vive all’esterno e che gli chiede di entrare nei suoi sogni e nelle sue emozioni, nelle sue illusioni e nella sua “mente”. Tutto quello che diventerà parole frasi o canto è già inscritto nella sua mente, come una traccia infinita di follia o una sfumatura incomprensibile del linguaggio comune.
Quindi il poeta non può fare altro che de-scrivere ciò che lo aspetta all’angolo della strada o all’apparire dei “fantasmi”. Il suo percorso è fatto di attese, di silenzi, di attenzioni, di rimossi, di lacrime ricacciate indietro a forza, di sospiri e di ritegni insensati. Sono tutte “sfumature” ma dicono molto di più di ciò apparentemente è chiaro e squadernato nella mente piuttosto che nella sottile membrana che avvolge l’anima e la rende sensibile al dolore del mondo e, nello stesso tempo, gli permette di apprezzarne la bellezza incontestabile e affannosa:
«La poesia. La poesia non è la frase spezzata / ma il vuoto prima / e dopo la parola // caduta» (p. 62).
Dove resta da interpretare quel termine finale, parola-chiave del discorso di Baldassarre: caduta sta per errore fine morte e dannazione oppure per il semplice avvitarsi spontaneo al suolo della “povera foglia frale” (di un’imitazione poetica di Leopardi da Antoine-Vincent Arnault, scelta dal poeta di Recanati come exemplum delle potenzialità della lingua italiana nell’ ambito del rinnovamento linguistico legato al Romanticismo)? Le parole della poesia, in buona sostanza, cadono nel vuoto e si fermano a terra come le foglie si staccano dagli alberi in autunno e si annullano nel magma indistinto della terra oppure cadono perché destinate all’errore all’oblio alla Caduta per superbia o velleità del poeta, una volontà non surrogata e sostenuta da un’autentica vocazione? La vocazione “bucolica” (in senso positivo) di Baldassarre potrebbe far pensare alla prima soluzione ma l’idea del silenzio come luogo in cui la poesia eviene è molto più convincente in quest’ottica. Non a caso in un suo testo molto suggestivo ed evocativo si legge con una certa nettezza:
«La soglia della memoria. E’ pericoloso sostare a lungo / sulla soglia della memoria. // Vattene vattene ora / Puoi ancora evitare di percorrere / corridoi impolverati inseguendo / immagini vere per i vivi // Devo decidere se murare la porta / o spingere l’uscio dei giorni // Entra apri le finestre / Se sui muri non ritrovi i quadri / di sicuro le impronte bianche / rispettano la loro disposizione // Il tempo spezza le ali all’anima / è ambra ciò che era resina» (p. 53).
La poesia di Baldassarre non è fatta di ricordi ma si concentra sul qui e ora (come testimoniano molte altre poesie da Padri moderni a p. 55 a Impronte sulla neve a p. 91 e solo per fare due esempi a caso), è poesia dell’immediato e della sensazione, è fatta di “ragione e sentimento” e non soltanto di ricordi o nostalgia di un passato che non c’è mai stato o che è ormai irrimediabilmente trascorso.
I suoi versi sono densi e raggumati in un tentativo quasi disperato di dire tutto nel giro compresso di una frase, di un’immagine risolta, di un’aspirazione di vita, di un contatto diretto che sia capace di cogliere il senso di una vicenda esistenziale in atto o del trascorrere di una stagione avita e conosciuta. Il senso nascosto della vita viene colto così in un soffio epifanico di consonanza con gli eventi inverando quel desiderio che la poesia esprime di attraversare il mondo per poterne cogliere il nocciolo segreto (anche se alla fine anche il sogno di ritrovare la verità nascosta sotto le apparenze più colorate o devastate o ingenue del reale, i suoi “bagliori”, si rivela – come sempre – uno scacco: «Non somiglio più neanche a me stesso» (p. 115).
Al di sotto delle rappresentazioni della bellezza della Natura (le sue “sinopie” invisibili) e al sopra delle aspirazioni a una vita più autentica, si leva l’oggetto oscuro e sempiterno della poesia – la sua capacità di costruire un ponte con la realtà e con la vita nel tentativo di farne un dono a coloro che ne colgono la necessità assoluta e imprescindibile.