Prima Parte
25 giugno 2014
Al fine di valutare se un soggetto ha capacità criminale deve prendersi in riferimento normativo l’articolo 133 del codice penale, secondo cui, ” nell’esercizio del potere discrezionale il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta: 1. dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione; 2. dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; 3. dalla intensità del dolo o dal grado della colpa. Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta: 1. dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; 2. dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato; 3. dalla condotta contemporanea o susseguente al reato; 4. dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.”
Questa norma ha lo scopo di indirizzare il giudice nella disitinzione tra gravità di reato e capacità di un soggetto a delinquere.
LA DEFINIZIONE DI CAPACITA’ A DELINQUERE.
La capacità a delinquere in dottrina indica l’idoneità a porre in essere azioni criminose.
Alcuni autori, definiscono la capacità a delinquere come “ l’attitudine, l’idoneità o potenza psicologica ad essere o divenire autori del reato“[1] e sul punto la dottrina è discordante ritenendo che la capacità a delinquere non riguarda il futuro del reo bensì solo il passato.
Da un’analisi attenta dell’articolo 133 del codice penale, si deve prendere atto che la suddetta dottrina non può essere seguita, infatti la norma precisa in modo chiaro che il giudice deve tener conto ” altresì, della capacità a delinquere del colpevole“, dunque non si devono prendere in considerazione i precedenti del soggetto che ha commesso il reato.
C’è inoltre chi ritiene che la capacità a delinquere non sia altro che la malvagità insita nel soggetto[2], ma anche questa è una tesi debole, perchè siginificherebbe accertare ogni volta la diversa personalità che il soggetto può assumere.
Nonostante ciò, la Giurisprudenza ritiene che, per la determinazione della pena, il giudice nella sua discrezionalità, nel valutare la capacità a delinquere, deve tener presente non solo il passato del soggetto, da non confondere con la pericolosità sociale, ma, deve tener presente anche la recidiva, ai fini della migliore determinazione della pena.[3]
In senso contrario la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto che devono considerarsi, ai fini del della determinazione della pena, non solo i precedenti penali, ma anche i ” precedenti giudiziari” poichè concorrono a configurare la personalità del reo.[4]
La recentissima Giurisprudenza ritiene di doversi tener conto anche della ” funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena.”[5]
LA CAPACITA’ CRIMINALE.
L’articolo 133 del codice penale è analitico nell’individuare gli elementi da cui poter desumere la capacità criminale, che, per il momento elenchiamo e di cui parleremo, al fine di un’analisi dettagliata e completa, in seguito.
Gli elementi sono:
1 il reato commesso;
2 i moventi dell’azione criminosa compiuta;
3 i precedenti del reo;
4 il comportamento contemporaneo e successivo al reato.
La capacità criminale, esprime la probabilità di un soggetto di poter divenire reo.
Concetto, questo, espresso da sempre dalla dottrina e accolto dal legislatore, il quale, all’articolo 203 del codice penale prevede che “ agli effetti della legge penale, è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile [c.p. 85] o non punibile [c.p. 45, 46, 49, 50, 51, 54], la quale ha commesso taluno dei fatti indicati nell’articolo precedente quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati [c.p. 164, n. 2]. La qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell’articolo 133.”
Il concetto di capacità criminale è sicuramente un concetto ampio, ma è più completo rispetto al concetto di capacità a delinquere, poichè rientrano in esso tutte le fattispecie di reato e non solo i delitti. Altro non è che ” la disposizione o inclinazione dell’individuo a commettere fatti in contrasto con la legge penale.”[6]
L’analisi di un caso concreto.
Analizziamo, al fine di tener presente un caso concreto, la sentenza della Corte di Cassazione Penale, Sezione V, del 4 marzo 2014, numero 10264, con la quale viene accolto uno dei quattro motivi di ricoreso proposti, quello cioè, basato sulla Sentenza della Corte Costituzionale numero 68/2012, che dichiara la parziale illegittimità costituzionale dell’articolo 630 del codice penale, nella parte in cui non prevede che la pena venga diminuita nei casi di lieve entità.
L’articolo richiamato, si occupa del sequestro di persona a scopo di estorsione.
Infatti il caso di specie riguarda un soggetto che introddottosi inabitazione privata, di notte, picchiando e minacciando, secondo l’accusa, la persona offesa, legandola al letto e richiedendogli incenti somme di denaro pre la liberazione.
La Cortre di Appello di Roma, interessata dell’impugnazione della sentenza di primo grado, ritenne di non doversi applicare l’articolo 630, codice penale, comma 4, secondo cui ” al concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti la libertà, senza che tale risultato sia conseguenza del prezzo della liberazione, si applicano le pene previste dall’articolo 605. Se tuttavia il soggetto passivo muore, in conseguenza del sequestro, dopo la liberazione, la pena è della reclusione da sei a quindici anni“, in quanto “ l’azione si era prolungata per molte ore, dato inconciliabile con un ipotetico stato d’ira; – non poteva dirsi ricorrere l’attenuante prevista dall’art. 630, comma quarto, del codice penale” e che nessuno ” aveva posto in essere alcuna dissociazione da condotte altrui, né dato corso a desistenze di sorta.”[7]
[1] A. Rocco, ” Lezioni di diritto penale“,1933, p. 321
[2] Nuvolone, ” La capacità a delinquere nella teoria del reato e della pericolosità.”
[3] Ex plurimis, C.Cass. Pen., Sez. II, n. 1580/1982; C. Cass. Pen., Sez. II, n. 6756/1978.
[4] C. Cass. Pen., Sez. I, 15/11/1983, in Giust. Pen.,1984, III,634.
[5] Ex plurimis, C. Cass. Pen., Sez. III, 10/01/2013, n. 10095; Cass. pen., sez. II, 26 giugno 2009 n. 36245, Cass. pen., sez. VI, 12 giugno 2008 n. 35346, Cass. pen., sez. III, 29 maggio 2007 n. 33773, Cass. pen. n. 43596 del 2003, Cass. pen. n. 8156 del 1996
[6] F. Antolisei, ” Manuale di diritto penale, parte generale“, Giuffrè, 1989, p. 563.
[7] C. Cass. Pen., Sez. V, 4 marzo 2014, n. 10284.
Seconda Parte
9 luglio 2014
Nella prima parte di questa pubblicazione, abbiamo esposto la distinzione tra la capacità a delinquere e la capacità criminale.
Abbiamo elencato quelli che, ai sensi dell’articolo 133 del codice penale sono gli elementi della capacità criminale.
Vediamo il primo di questi: il reato commesso.
Il Libro Primo del codice penale, rubricato dei reati in generale, al Titolo III, Capo I, definisce il reato in generale e differenzia il reato consumato dal reato tentato.
L’articolo 40 del codice penale stabilisce che “ nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.”
Conseguenza dell’azione od omissione.
“ Nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato se non l’ha commesso con coscienza e volontà” è quanto dispone l’articolo 42, comma 1 del codice penale, dalla cui interpretazione ne consegue che la condotta può essere positiva, in tal caso parliamo di azione, o negativa e parliamo di omissione.
Si ha l’azione ogni qualvolta si ha un susseguirsi di movimenti, intesi n dottrina come veri e propri movimenti corporei, che vi siano cioè “ atti estremamente visibili e manifestati.”[1]
In modo univoco la dottrina ritiene che il susseguirsi degli atti e dei movimenti devono essere contestuali, requisito questo spesso sostituito con “ l’idoneità dei diversi atti tipici ad offendere lo stesso interesse protetto.”[2]
Un esempio di reato d’azione è la rapina.
L’omissione invece è definita come “ il mancato compimento dell’azione che da una persona ci si attendeva.” [3]
Un esempio di reato di omissione è l’omissione di atti d’ufficio.
La coscienza e volontà.
Come previsto dall’articolo 42, comma 1, del codice penale, la coscienza e volontà è un requisito necessario per poter parlare di condotta.
In dottrina si parla di “ suitas”, cioè quell’atteggiamento voluto dal soggetto, che non è la capacità di intendere e di volere del soggetto.
La coscienza e volontà è esclusa dalla dottrina in caso di malori imprevisti, in caso di forza maggiore, di costringimento.
[1] Ex plurimis, Pannain, Antolisei, Manzini, Fiandaca – Musco.
[2] Mantovani.