Prato, 18 dicembre 2015
Scuola di Psicoterapia Erich Fromm
Presentazione di: Il seminario di Milano, di John Bowlby. FrancoAngeli, Milano 2015
Marco Bacciagaluppi
leggi in pdf Marco Bacciagaluppi: presentazione di Il seminario di Milano di John Bowlby
Questo libro, curato da me, è stato pubblicato in Inghilterra nel 2013, e ora la FrancoAngeli ha pubblicato la traduzione italiana, con la Prefazione di Antonio Imbasciati. Esso contiene due inediti: un seminario tenuto da Bowlby a Milano nell’aprile 1985, e la sua corrispondenza con me, durata otto anni, dal 1982 al 1990. Bowlby è famoso come autore della teoria dell’attaccamento, ma nel seminario dimostra anche di essere un grande clinico, e nella corrispondenza con me un grande maestro.
La teoria dell’attaccamento
Dopo avere lavorato sui bambini privi di cure materne per l’OMS (L’Organizzazione Mondiale della Sanità), Bowlby cercò una base teorica per spiegare la sofferenza di questi bambini. La trovò nell’etologia ed elaborò quindi la teoria dell’attaccamento nella trilogia di Attachment, Separation and Loss (Attaccamento, separazione e perdita), che venne pubblicata in un periodo di dodici anni, dal 1969 al 1980. Secondo questa teoria, il bambino tende a stabilire un rapporto di attaccamento con la madre, la quale risponde con il comportamento complementare di cura parentale (“caregiving”). La madre fornisce “una base sicura da cui esplorare”. Questa formula racchiude due bisogni fondamentali e successivi: la base sicura fornisce la sicurezza, che permette poi di esplorare, ossia di raggiungere gradualmente l’autonomia.
La teoria è partita dallo studio empirico degli effetti di una situazione traumatica per un bambino, cioè la separazione dalla madre dovuta ad un ricovero ospedaliero. La reazione del bambino segue tre fasi: dapprima il bambino protesta, per richiamare la madre; se la separazione si prolunga, segue una fase di disperazione; infine, il bambino rinuncia ed assume un atteggiamento distaccato. Il ricovero ospedaliero è una situazione impersonale, dovuta a motivi medici, e prescinde dagli atteggiamenti della madre. La separazione fisica si presta allo studio quantitativo, ma gli stessi effetti vengono provocati da una separazione emotiva dovuta ad atteggiamenti negativi da parte della madre.
I vari tipi di attaccamento si possono osservare all’età di un anno in una situazione sperimentale, la Strange Situation, ideata da Mary Ainsworth, che consiste in una separazione breve, quindi non traumatizzante, di circa venti minuti, dopo avere osservato gli atteggiamenti della madre a casa nei mesi precedenti. Il bambino viene osservato in una stanza con dei giuochi, in varie combinazioni: con la madre, con una persona estranea, e quando la madre ritorna, ed è questo il momento più importante. La Ainsworth ha descritto l’attaccamento sicuro (il bambino accoglie la madre, poi torna a giocare), e due tipi di attaccamento insicuro, il resistente (il bambino va in braccio alla madre, poi si divincola), e l’evitante (il bambino non guarda la madre). Il bambino sicuro ha avuto una madre sensibile ai suoi segnali, il bambino resistente ha avuto una madre insensibile, il bambino evitante ha avuto una madre rifiutante, oltre che insensibile. Mary Main ha aggiunto il tipo di attaccamento più grave, quello di tipo D, disorganizzato/disorientato (il bambino va verso la madre, ma guardando da un’altra parte). La Main ha anche studiato le madri attraverso l’AAI (Adult Attachment Inventory), e ha visto che l’attaccamento di tipo D è correlato con traumi non risolti della madre (spesso, un lutto), che impauriscono il bambino.
Bowlby afferma che il comportamento di attaccamento è stato selezionato nel corso dell’evoluzione a causa del suo valore di sopravvivenza, che consiste nella difesa dai predatori. Lo abbiamo in comune con tutti i mammiferi e con molti uccelli. La dimensione temporale di questo confronto tra specie e classi diversi è di molti milioni di anni. Considero pertanto la teoria dell’attaccamento, basata sull’etologia e sulla teoria dell’evoluzione, come lo strumento concettuale di gran lunga più potente a nostra disposizione in psicoanalisi.
Il bisogno di attaccamento va tenuto distinto da quello di nutrimento. I due bisogni coincidono quando una madre allatta il bambino, ma si possono vedere distinti quando i pulcini seguono la chioccia. Essi non lo fanno per esserne nutriti, perché sono capaci di beccarsi il cibo da soli, bensì per la difesa dai predatori. I due bisogni si vedono distinti anche nell’esperimento di Harlow: le scimmiette rhesus a contatto con due madri artificiali di fil di ferro, una con la bottiglia del latte, l’altra coperta di pelo, si rivolgono dapprima alla prima per esserne nutriti, poi alla seconda per avere il conforto del contatto.
Bowlby pensa che le manifestazioni psicopatologiche siano il risultato di traumi relazionali che si verificano quando l’ambiente si discosta troppo da quello al quale siamo stati adattati nel corso dell’evoluzione (quello che lui chiama EEA: Environment of Evolutionary Adaptedness), ossia quando viviamo in una società fortemente innaturale come quella attuale.
Nella preistoria i nostri antenati vivevano in piccole bande di cacciatori-raccoglitrici (erano le donne a raccogliere i frutti, attività compatibile col portare un bambino in braccio od in un marsupio), nomadi, con pochi figli (grazie all’anticoncettivo naturale dell’allattamento prolungato, che inibisce l’ovulazione).
Si ebbe una forte discontinuità rispetto a questo passato con la rivoluzione agricola. Invece di prendere ciò che la natura offriva spontaneamente, gli esseri umani si misero a modificarla. I contadini divennero stanziali, con molti figli, i maschi per lavorare nei campi, le femmine più grandi per badare ai figli più piccoli. La famiglia non fu più una base sicura da cui esplorare. L’esplorazione doveva essere scoraggiata da vari meccanismi di legame (l’attaccamento insicuro e gli abusi fisici e sessuali), cioè da esperienze traumatiche, al servizio dell’inversione dei ruoli, per cui il bambino deve gratificare dei bisogni dei genitori anziché essere libero di raggiungere l’autonomia.
Bowlby si era sempre differenziato dalla negazione del trauma operata da Freud nel 1897 a favore delle fantasie, ulteriormente accentuate dalla Klein. Bowlby descriveva la separazione e la perdita, di cui aveva studiato gli effetti, come “real-life events” (avvenimenti della vita reale). Ma verso la fine della sua vita rimase colpito dall’ampia letteratura sul trauma, che aveva portato all’incorporazione del PTSD (il disturbo da stress post-traumatico, osservato nei reduci del Vietnam) nel DSM-III (il manuale statistico-diagnostico dei disturbi mentali) nel 1980. Nel 1984 Bowlby pubblicò un lavoro su “La violenza nella famiglia”, poi ristampato come il Capitolo 5 in Una base sicura, in cui parla del “voltafaccia disastroso” di Freud nel 1897.
Il seminario
Come esempio dell’acume clinico di Bowlby e dell’importanza da lui data agli avvenimenti traumatici, citerò ora i suoi commenti ai tre casi clinici presentati nel seminario di Milano nell’aprile 1985. I testi registrati sono stati trascritti e tradotti da me. A ciascuno dei tre colleghi ho poi chiesto la catamnesi del caso. Nel libro, dopo i casi ci sono le testimonianze degli altri colleghi che hanno contribuito al seminario, ospitando Bowlby e facendo le registrazioni. Alla fine del libro vi è un lungo caso di terapia breve, improntato alla teoria dell’attaccamento, presentato da Ferruccio Osimo, che aveva presieduto il seminario e fatto da traduttore.
All’inizio del seminario, prima dei casi, vi è un’introduzione teorica di Bowlby su “Processi difensivi alla luce della teoria dell’attaccamento”, dove Bowlby applica la teoria dell’informazione, col concetto di disattivazione del sistema di comportamento a scopo difensivo. In circostanze normali, il comportamento di attaccamento del bambino serve a mantenere la vicinanza alla madre. In seguito ad esperienze traumatiche, vi è un’esclusione selettiva dei segnali, quali la lontananza, che porterebbero al comportamento di attaccamento, e il bambino mostra un atteggiamento distaccato.
Poi si parla di alcuni problemi circoscritti come la tossicodipendenza e l’autismo. Ad un certo punto uno dei partecipanti chiede se le idee di Bowlby sono simili a quelle della Klein. Bowlby (che conosceva bene la Klein perché aveva fatto la supervisione con lei) risponde, molto decisamente, che la Klein credeva nell’istinto di morte, e che lui lo considera “rubbish”, che vuole dire “spazzatura”, e, in senso traslato, “sciocchezze”.
Infine si passa alla presentazione dei tre casi.
Caso 1. La paziente, che da piccola aveva riportato delle ustioni al viso, dice di se stessa che era “una bambina diversa, più matura degli altri”. Era molto orgogliosa del fatto che riusciva a fare stare meglio i genitori. Da grande aderisce ad un gruppo rivoluzionario. Diventa la compagna di uno dei capi. Con lui assume il ruolo di quella che fa tutto. Poi essa vuole un bambino, il marito è contrario, essa lo obbliga, resta incinta, nasce una bambina, che all’epoca del seminario ha 7 anni. Essa ricorda il suo rapporto con la bambina neonata come il periodo più felice della sua vita. Sorgono dei problemi quando la bambina comincia ad essere più autonoma e va all’asilo. La paziente comincia a stare male. Il suo bisogno di essere curata era in contrasto con la parte di lei che voleva fare tutto e non chiedeva nulla. Il marito la critica. Essa tenta il suicidio ingerendo molte pillole. Per la prima volta in vita sua si rivolge ad uno psichiatra, che consiglia l’analisi.
Nel rapporto terapeutico emerge il suo bisogno di essere curata. Allo stesso tempo, essa nega questo bisogno, per paura di affidarsi a qualcuno che la può lasciare e farla soffrire. Comincia a saltare le sedute e ad avere idee di suicidio. Ha anche degli episodi di eccitamento maniacale. In una seduta telefonica dice che si sente aiutata dalla terapeuta. Ricorda di essere stata ustionata dall’acqua bollente quando era bambina. In ospedale venne immersa in una soluzione fisiologica. Dopo di allora non ha più pianto.
Commento di Bowlby. Anzitutto, egli si congratula con la terapeuta per l’indirizzo terapeutico adottato e per i progressi che la paziente ha già fatto. Pensa che questa paziente sia un esempio classico di quello che Winnicott chiamerebbe “falso Sé”. Pensando all’anamnesi, gli sembra molto evidente che la paziente divenne autosufficiente in modo compulsivo. Pensa che i genitori volessero che lei sembrasse una bambina contenta, e che a loro non piacesse che lei fosse sofferente e infelice. Quindi, essa diventa una bambina prematuramente adulta, autosufficiente, brava a scuola. Sono i rapporti personali che attivano tutti i suoi sentimenti rimossi. Ricorda il rapporto con la sua bambina come il migliore della sua vita. Ora, per la prima volta, si è permessa di provare affetto e attaccamento. Bowlby pensa che essa abbia invertito il rapporto con sua figlia. Questa è un’ipotesi, suggerita dalla sua sofferenza quando la figlia va all’asilo. Quando la paziente cerca di rilassarsi, e vorrebbe che gli altri si prendessero cura di lei, allora naturalmente si sente vulnerabile, specialmente quando vuole che gli altri le vogliano bene. La seduta telefonica gli sembra molto utile. La paziente non si aspettava che la terapeuta fosse d’accordo. Il modello interno di una figura di attaccamento che la paziente porta nel rapporto terapeutico disapprova il pianto, la sofferenza, e si aspetta da lei che sia felice e indipendente
Catamnesi. Risulta che la paziente continuò l’analisi ancora per tre anni. La terapeuta ricorda in particolare un episodio indimenticabile. “La paziente si è alzata urlando e piangendo disperatamente, si è accasciata per terra e io mi sono alzata e l’ho abbracciata, cercando di calmarla con l’abbraccio e non con le interpretazioni”. Successivamente sono comparsi all’orizzonte progetti vitali. La paziente si è innamorata di un uomo. L’analisi è terminata in un quadro di accettazione dei suoi desideri di essere amata.
Caso 2. Il paziente è un uomo di trent’anni. A cinque anni, subito dopo la nascita di un fratello, venne mandato in collegio. Una delle sue sorelle maggiori morì di cancro quando il paziente aveva sedici anni. La sorella tornò a casa un anno prima di morire. Era solita aiutarlo coi compiti.
Una volta, il paziente perdette delle sedute. Era molto arrabbiato perché voleva recuperare le sedute mancate, ma ciò non era possibile per il terapeuta. Il paziente associò la separazione dalla famiglia perché veniva mandato in collegio. Nella seduta successiva aveva dimenticato tutto. Quando era arrabbiato, il paziente aveva fantasie omicide. Fece un sogno, provocato da un film, in cui dei soldati delle SS tenevano un bambino per i piedi e gli picchiavano la testa contro un muro. Tornato a casa, la sua bambina stava piangendo, ed egli temette di fare lo stesso a lei. La madre compare di rado nelle comunicazioni del paziente. A questo proposito il paziente riferì un altro sogno. “Sto camminando tenendo per mano la mia bambina quando un cane si mette a corrermi dietro fino quasi a mordermi. A questo punto, una donna prende la bocca del cane con le due mani e gliela torce, e il cane smette.” Orbene, il paziente ha associato che la madre gli torceva veramente la bocca per impedirgli di piangere.
Commento di Bowlby. Egli dice: “Colpisce che quando la sua bambina stava piangendo gli veniva voglia di aggredirla. Questo mi fa pensare che quest’uomo sia stato picchiato da bambino quando piangeva”. Nota che la madre compare di rado nelle comunicazioni del paziente. Pensa che questa omissione sia significativa, e che i problemi del paziente dipendano soprattutto dalla madre. Ciò è confermato dal contenuto del secondo sogno. Bowlby pensa che nel sogno il cane sia la parte del paziente arrabbiata perché veniva mandato in collegio. Poiché la madre non sopportava il suo pianto, doveva impedirgli di piangere tenendogli la bocca. Bowlby pensa anche che la sorella maggiore possa essere stata una madre sostitutiva, e che la sua morte possa essere stata un’esperienza traumatica. Bowlby nota che i bambini piccoli separati dai genitori diventano sofferenti e arrabbiati. Orbene, come si sviluppano queste reazioni nella prima infanzia? Molto dipende dalla reazione del genitore a questi comportamenti. Se il genitore punisce il bambino, è a questo punto che le manifestazioni psicopatologiche diventano radicate. Il sogno del cane è un indizio chiaro che, se il bambino protestava, veniva punito. Un indizio indiretto è costituito dagli impulsi omicidi nei confronti della bambina quando piangeva. Con questo, il paziente si identificava con la madre che lo aggrediva. Bowlby nota che nelle comunicazioni del paziente mancano i suoi sentimenti. Qui cita l’articolo di Fraiberg, Adelson e Shapiro del 1975, in cui le autrici fanno la catarsi mediata alle loro pazienti. Bowlby nota che il paziente riusciva ad esprimere la rabbia per la separazione ma non la sofferenza. A questo punto Bowlby fa un’autocritica. “Ritengo che noi professionisti siamo stati di un’ignoranza e ingenuità deplorevoli nei riguardi di ciò che accade nelle famiglie disturbate. Si tratta di cose molto peggiori di quanto si pensi”. Cita il libro di Helfer e Kempe (1968) sui bambini maltrattati.
Catamnesi. Risulta che, dopo la supervisione con Bowlby al seminario, il terapeuta cercò di evitare l’atmosfera polemica. La terapia continuò per altri quattro mesi e si arrivò ad una conclusione concordata. Vi sono due riserve da fare: (1) la data della fine della terapia venne decisa a causa di un avvenimento esterno, cioè il trasferimento del paziente con la famiglia in un’altra città; (2) il terapeuta aveva la sensazione che il paziente non avesse del tutto rinunciato al suo atteggiamento fondamentalmente diffidente.
Caso 3. I genitori della paziente avevano sei figli, tre maschi e tre femmine. Per la paziente erano particolarmente importanti il fratello maggiore e il minore, anch’esso un maschio. La paziente era una dei figli intermedi. Essa venne abusata sessualmente dal fratello maggiore fra i tre e i quindici anni. Quando era un’adolescente, i genitori si separarono. Essa poi oscillò tra lo stare con la madre e con amici, mentre il fratello continuò a vivere col padre. Questo fratello venne ricoverato diverse volte con la diagnosi di schizofrenia. Nel 1978 in Italia venne approvata la legge Basaglia per chiudere gli ospedali psichiatrici e sostituirli con Centri territoriali. Dopo la chiusura, il fratello si rifiutò di andare al Centro Psico Sociale e di prendere psicofarmaci. Il padre prese contatto col CPS, e vennero concordate delle visite domiciliari. “Io sono psicoterapeuta e andavo a visitare il paziente a domicilio assieme ad una psichiatra. Queste visite ci mettevano ansia. Egli era verbalmente aggressivo, estremamente prolisso e rivendicativo. A volte ci auguravamo che non aprisse la porta”.
Egli finì col suicidarsi gettandosi da una finestra. Dopo il suicidio, la paziente andò a vivere col padre e cominciò a frequentare il CPS. Aveva circa trent’anni. Al CPS anche a lei venne fatta la diagnosi di schizofrenia e le venne prescritto l’Aloperidolo. Aveva colloqui psicologici settimanali con la terapeuta. Tanto il fratello aveva avuto atteggiamenti respingenti, tanto la paziente era affettuosa e coinvolgente. Il suo comportamento era molto impulsivo e comprendeva tentati suicidi, incontri occasionali con uomini, aborti, cambiamenti repentini. La paziente era molto bella. Consapevole di esserlo, usava la seduttività per attirare gli uomini. Essa stava cercando un attaccamento sicuro, ma in realtà diventava facile preda di uomini senza scrupoli o si legava ad individui ancora più fragili di lei. Una volta, durante le vacanze della terapeuta, la paziente reagì con disorganizzazione e deliri erotici. Un’altra volta, dopo essere stata rifiutata da un uomo, la paziente andò al cimitero dove era sepolto il fratello, portandosi dietro vari tipi di farmaci. Alla chiusura, sfuggì all’attenzione, rimase nel cimitero e prese tutti i farmaci. Il mattino dopo venne trovata in stato di coma. Essa sopravvisse perché era inverno ed il freddo aveva indotto ipotermia cerebrale.
Commento di Bowlby. Egli dice che la terapeuta è molto coraggiosa nell’affrontare questa paziente. Nota che, dopo la prima separazione, la paziente era caduta in una situazione psicologica caotica. Nella seconda occasione, si trattava di un tentativo perfettamente organizzato. Pensa che, paradossalmente, questo possa essere visto come un progresso. Bowlby si chiede come si tratta una paziente del genere: se è possibile trattare questa paziente a livello ambulatoriale, o se la terapia sarebbe più efficace in un ambiente protetto. “C’è un grave rischio che questa donna si suicidi”. “Per quanto riguarda i cambiamenti repentini, può darsi che si tratti di un disturbo affettivo”.
Catamnesi. Piuttosto che pensare ad un disturbo affettivo, attualmente la terapeuta farebbe diagnosi di disturbo schizoaffettivo, per via della presenza di sintomi psicotici positivi (allucinazioni, deliri). Il concetto di disturbo schizoaffettivo venne introdotto nel DSM soltanto nel 1980, e può darsi che Bowlby non ne fosse a conoscenza. Purtroppo, il pessimismo di Bowlby era giustificato. Alcuni anni dopo il seminario, la paziente si è suicidata, gettandosi dalla stessa finestra da cui si era defenestrato otto anni prima il fratello. Nei giorni precedenti, aveva avuto una notizia indiretta del fatto che il fratello minore, convivente con la madre – che lei in passato aveva cercato di proteggere, senza riuscirci, dalla tossicità relazionale della loro famiglia – aveva avuto il suo primo ricovero in psichiatria. Forse questo evento le fece pensare ad un destino cui non poteva sfuggire. Questo caso ha spinto la terapeuta a fare un training familiare sistemico e a seguire i casi gravi con interventi congiunti individuali e familiari.
Dopo i contributi degli altri colleghi, vi è un lungo capitolo di Ferruccio Osimo. Attualmente Osimo applica la teoria dell’attaccamento con un suo sistema di terapia breve, la psicoterapia dinamico-esperienziale intensiva (IE-DP). L’IE-DP viene esemplificata con un caso clinico, seguito da una catamnesi di 14 mesi.
La corrispondenza
Nella mia corrispondenza con Bowlby abbiamo parlato di molti argomenti. Nella mia prima lettera mettevo in rapporto il suo lavoro con quello di Margaret Mahler, e lui mi ha corretto, dicendo che lui e la Mahler seguivano teorie inconciliabili (p. 22). Poi parliamo di Arieti, morto di recente (p. 23), dei problemi edipici (pp. 24-25), dei fattori psicologici nei tumori (pp. 27-29), dell’uso del termine “simbiosi” (p. 30). Nel 1985 Bowlby mi segnalò il libro di Greenberg e Mitchell, Le relazioni oggettuali nella teoria psicoanalitica, uscito nel 1983, in cui gli autori distinguono tra il modello pulsionale di Freud e quello relazionale, al quale appartengono molti autori, tra cui Fromm e lo stesso Bowlby (p. 32). Nello stesso anno, a mia volta gli parlai del libro di Masson, Assalto alla verità, sull’abbandono della teoria della seduzione da parte di Freud nel 1897 (p. 31). Poi gli dico che, leggendo Anatomia della distruttività umana di Fromm, ho scoperto l’esistenza di un libro di Bowlby del 1939 sulla guerra (pp. 36-39). Me ne mandò una copia con dedica, ed io scrissi un saggio su questo libro. Il culmine di questa corrispondenza è stato un mio lavoro su “La teoria dell’attaccamento come base alternativa della psicoanalisi”, che ho concordato con Bowlby, anche con un incontro a Londra, e che ho presentato a Zurigo nel 1985, poco dopo il seminario (p. 30 e pp. 34-36). Questo articolo verrà ristampato in inglese su Attachment, la rivista del Bowlby Center di Londra, e la traduzione italiana di questo articolo, con aggiornamenti, uscirà prossimamente su Ricerca Psicoanalitica, la rivista della SIPRe.
Nella corrispondenza risulta che Bowlby non conosceva l’opera di Fromm. Fromm, invece, condivideva il concetto di attaccamento, e nell’Archivio Fromm di Tübingen vi è una copia di Attachment con annotazioni di Fromm.
I miei commenti
Anzitutto faccio i miei commenti ai tre casi.
Nel caso 1 (la donna rivoluzionaria), aggiungerei che c’era una trasmissione transgenerazionale dell’inversione dei ruoli, perché, come alla paziente è dispiaciuto quando la figlia ha cominciato ad andare all’asilo, così i genitori si aspettavano che lei li tirasse su di morale.
Nel caso 2 (il bambino mandato in collegio), un esempio dell’intuito clinico di Bowlby è dato dai suoi commenti al secondo sogno del paziente (il sogno del cane), che rivela la presenza di una madre maltrattante, altrimenti assente dalle comunicazioni del paziente, e dalla sua ipotesi che la sorella maggiore del paziente potesse essere stata un sostituto materno, per cui la sua morte è stata per il paziente un’ulteriore esperienza traumatica.
Anche nel caso 3 (la donna che ha finito col suicidarsi), Bowlby dimostra le sue doti di clinico quando esprime i suoi timori riguardo alla paziente, che vennero purtroppo confermati. Posso aggiungere che in questo caso vi è un importante collegamento con la teoria dell’attaccamento. Sia il tentativo di suicidio al cimitero che il suicidio finale rivelano un attaccamento patologico al fratello abusante, che la paziente ha dovuto seguire anche nella morte. Vi è un collegamento col fratello anche nelle relazioni con gli uomini, che o la sfruttavano, o erano più deboli di lei. Bowlby (1969, pp. 215-216 dell’edizione originale; 1973, p. 91 dell’edizione originale) fece notare che, quando c’è un pericolo, il bambino si aggrappa di più alla figura di attaccamento, e che, quando la figura di attaccamento è anche quella che suscita paura, il bambino, paradossalmente, si aggrappa ancora di più, così come la paziente si è aggrappata al fratello.
Vorrei aggiungere altri commenti miei su Bowlby e la teoria dell’attaccamento.
1. Le radici autobiografiche. In primo luogo, può darsi che l’interesse molto empatico mostrato da Bowlby per l’impatto della separazione sui bambini piccoli abbia radici autobiografiche. Bowlby apparteneva ad una famiglia molto altolocata. Suo padre era il medico del Re ed aveva il titolo di baronetto. Faceva parte dello stile distaccato della famiglia il fatto che la madre ricevesse i suoi bambini, come in udienza, per un’ora al giorno. E’ quindi naturale che Bowlby si sia molto affezionato alla sua bambinaia, che però, secondo la biografia di Bowlby scritta da Van Dijken (1998, p. 26), lasciò la casa quando lui aveva 4 anni. In questa esperienza Bowlby fu preceduto da Freud. Nella sua lettera 242 a Fliess dell’ottobre 1897 Freud (1986, p. 292) rivela il suo attaccamento alla sua bambinaia e la sua disperazione per la sua partenza. E’ istruttivo fare un confronto tra Bowlby e Freud. Partendo da un’esperienza simile, essi hanno avuto reazioni opposte. Bowlby diventò una persona calda e affettuosa, mentre Freud diventò una persona distaccata ed autoritaria, che consigliava agli analisti di “prendersi a modello … il chirurgo, il quale mette da parte tutti i suoi affetti” (Freud, 1912e, p 115 della SE, 12, e p. 536 delle OSF, 6; si tratta dei “Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico”).
2. La dissociazione. In secondo luogo, come abbiamo visto, negli ultimi anni della sua vita Bowlby era molto più consapevole della natura traumatica dell’esperienza di molti bambini. Ciò solleva il problema della reazione dei bambini ai traumi, caratterizzata non dalla rimozione bensì dalla dissociazione. Bowlby continua ad usare il termine di rimozione, però, a livello teorico, egli aderiva all’orientamento “neodissociativo” di Hilgard (Bowlby, 1980, p. 58 dell’edizione originale), che si rifà esplicitamente a Pierre Janet, il primo ad introdurre nell’Ottocento il concetto di dissociazione. All’interno della letteratura sull’attaccamento è pertinente la descrizione fatta da Mary Main dell’attaccamento di tipo D, che sembra corrispondere alla dissociazione di Janet.
3. Il livello storico-sociale. In terzo luogo, ad un livello sistemico superiore, la diffusione di una struttura di carattere distaccata richiede un riferimento alla dimensione storico-sociale. Tale livello è implicito in Bowlby quando dice che, se l’ambiente differisce troppo da quello preistorico ne deriveranno conseguenze psicopatologiche. Egli parla di questo argomento nel capitolo 4 di Attachment (Bowlby, 1969). Nel suo lavoro c’è poca critica sociale. In confronto, nella letteratura psicoanalitica è molto più forte la critica sociale di Erich Fromm. Può darsi che il carattere distaccato sia il più adatto a funzionare nell’attuale società competitiva, però, alla lunga, come dice Alice Miller, il distacco dalle emozioni può dare luogo a gravi sintomi somatici.