di Francesco Soldi e Alessio Barabuffi 31 agosto 2016
leggi in pdf Le due facce della medaglia
Le Olimpiadi di Rio 2016 sono state, per il nostro paese, l’ennesima conferma di risultati positivi, nella media degli ultimi anni. Otto medaglie di bronzo, ben dodici medaglie d’argento e soprattutto otto ori per un totale di ventotto medaglie conquistate dagli atleti italiani. Tra queste, spiccano le sette medaglie totali (quattro medaglie d’oro e tre d’argento) nel tiro in tutte le sue forme, contro le cinque di quattro anni fa, che rappresentano sicuramente la parte migliore di questa avventura olimpica, assieme a qualche conferma nel nuoto, nella pallanuoto, nel volley e nella scherma.
Il “rovescio della medaglia” è invece rappresentato dalle delusioni arrivate in discipline o competizioni dalle quali ci saremmo aspettati risultati diversi, dati forse per scontato, spesso solo per il calibro del campione coinvolto. Ed è proprio da questi episodi, più che dalle vittorie, che emerge con maggior evidenza l’importanza di un elemento finora troppo spesso dimenticato o sottovalutato, ma essenziale nello sport, come la preparazione mentale.
Se infatti sul carro dei vincitori salgono un po’ tutti, dalla preparazione tecnica, all’allenamento, allo spirito di squadra, finanche ai puri sentimenti affettivi, dove la vicinanza di una persona importante diventa improvvisamente fondamentale per la riuscita, quando invece si profila lo spettro della sconfitta diventa tutto molto più difficile e complicato; anche parlare dei motivi per i quali si è perso è un peso e una insofferenza insopportabile, che può portare anche a veri e proprio scoppi di ira, arrivando a “minacciare” se si tirano in ballo “problemi di testa”. Il più delle volte, invece, si preferisce ignorare la domanda specifica che costringerebbe a guardare in faccia il dubbio: “Non si sarà forse trattato di una carenza nella preparazione mentale?”
Spesso, durante le interviste subito a ridosso di competizioni al di sotto delle aspettative, i giornalisti hanno chiesto ad allenatori e atleti se la prestazione deludente fosse da imputare a “fattori di testa”: in questo frangente potevamo vedere chiaramente che gli intervistati, mentre a parole affermavano di no, con il linguaggio del corpo davano ad intendere il contrario. È un rifiuto sempre meno convinto e convincente, quasi un atteggiamento infantile che porta a continuare ad ignorare, ad oltranza, un aspetto che, piaccia o no, è presente.
È, infatti, indubbio che una performance ottimale sia il risultato combinato di allenamento fisico, tecnico e tattico, unito ad una solida preparazione specializzata dal punto di vista mentale. La realtà sportiva italiana, però, è che non tutte le società prima, gli allenatori poi ed, infine, gli atleti dedicano spazio e importanza al mental training: dobbiamo riconoscere che negli ultimi decenni sono stati fatti passi avanti in tal senso ma, rispetto ad altre dimensione internazionali di maggior successo, il cammino da fare è molto lungo. Ancora oggi, infatti, resta salda la convinzione, negli addetti ai lavori, che lo sforzo muscolare sia in grado, da solo, di portare ad un successo, escludendo completamente il cervello che lo comanda.
Ma nessun muscolo può difendersi dagli attacchi che derivano da pensieri quali “non ce la faccio”, “è più forte di me”, “è impossibile che io riesca a fare questo”. Quale gruppo muscolare può intervenire quando lo stomaco si contrae per quel fenomeno che chiamiamo ansia, che all’improvviso diventa un male oscuro che ci toglie il respiro e ci blocca? Ciò succede in pedana, in acqua, in pista o su un prato e getta via mesi e mesi di sacrifici e allenamento.
O ancora cosa si dovrebbe fare quando la vista del pubblico, i rumori della scena di gara, le parole e le voci che entrano nella testa fanno dimenticare in un colpo solo il motivo per cui si è lì?
Domande che dovrebbero fare riflettere anche i più scettici. A nostro avviso, vi è un’unica risposta.
La preparazione mentale aiuta gli atleti laddove il fisico non può farlo, partendo dal principio fondamentale che l’avversario più difficile da battere per un atleta è se stesso.
La mente può essere lo strumento più potente, che può fare la differenza a parità di preparazione fisica, oppure il nemico peggiore, se non adeguatamente preparata. Un palcoscenico importante come quello delle Olimpiadi rappresenta al meglio la situazione limite che l’atleta può sperimentare, in quanto la pressione aumenta a livelli massimi, le performance devono essere indirizzate auspicabilmente verso l’ottimizzazione e il livello di concentrazione richiesta si alza in conseguenza al fatto che è l’atto conclusivo di una preparazione lunga mesi, che può finire in un attimo se tutto questo non viene gestito e non si è pronti per farlo.
La preparazione mentale interviene con varie tecniche, tra le più importanti delle quali troviamo la visualizzazione, il rilassamento, i pensieri positivi, self-talk positivo, sicurezza e auto efficacia.
La visualizzazione è il procedimento attraverso il quale si allena l’atleta a immaginare particolari gesti tecnici, performance, situazioni di gara, stati emotivi, nel modo più particolareggiato possibile, come se fosse la realtà. Seguendo il principio che la rappresentazione immaginativa di un movimento attiva le aree della corteccia cerebrale che presiedono alla motilità di quei distretti corporei, “allenando” un circuito neuronale che è il medesimo che verrà poi utilizzato per l’esecuzione reale del movimento, la visualizzazione consente di correggere e migliorare particolari gesti e tecniche, favorire la concentrazione, limitare la distrazione e gestire l’ansia.
A questo proposito, le tecniche di rilassamento consentono di raggiungere stati ottimali di attivazione sia laddove l’ansia sia troppo elevata, sia dove invece vi sia poca attivazione. Ugualmente importante è abituarsi a coltivare pensieri positivi su di sé, sulle proprie capacità, alimentando così un senso di auto efficacia utile a non limitare le performance stesse. Così pure avere un buon dialogo interno (self-talk), obiettivo e sincero, ma prima di tutto positivo, aiuta a mantenere alto l’impegno e ad affrontare difficoltà ed errori in maniera serena e positiva, sostituendo un senso di depressione per ciò che non riesce con una motivazione ulteriore ad andare avanti, migliorando.
Questi sono solo alcuni aspetti che una buona preparazione mentale richiede e racchiude in sé; uniti alla preparazione fisica, concorrono a raggiungere risultati straordinari, come vincere una medaglia olimpica.
È tempo ormai di capire che la preparazione fisica è solo una faccia della medaglia. E quelle di oro, d’argento o di bronzo, che sono state messe al collo degli atleti a Rio, sono sempre costituite da due facce.