20 febbraio 2015
L’omicidio volontario e l’omicidio preterintenzionale, hanno il loro carattere distintivo nell’elemento psicologico.
Nella recente Sentenza della Suprema Corte di Cassazione, del 6 febbraio 2015, numero 5676 è stato affermato l’orientamento prevalente in giurisprudenza, secondo cui, “sul tema dell’elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale, costituito – nel rispetto dei principi di imputabilità del reato e della corretta interpretazione degli artt. 43 e 584 cod. pen. e in coerenza con la ratio dell’istituto – dal dolo di percosse o lesioni, assorbendo la disposizione di cui all’art. 43 cod. pen. la prevedibilità di evento più grave nell’intenzione di risultato (Sez. 5, n. 40389 del 17/05/2012, dep. 15/10/2012, P.C. in proc. Perini e altri, Rv. 253357), la Corte ha rimarcato che l’intento diretto a percuotere la vittima o a causarle solo lesioni (sì che l’evento morte, pur legato da nesso di causalità alla condotta dell’agente, non sia voluto), deve essere accertato, quando la lesione, che lo ha prodotto, sia stata arrecata per mezzo di oggetto atto a produrlo, avendo essenziale riguardo al tipo di oggetto utilizzato, alla reiterazione eventuale e alla direzione della condotta lesiva, alla parte corporea sede di organi vitali avuta di mira e/o concretamente attinta. Tale percorso metodologico è del tutto coerente con la costante affermazione di questa Corte, che rimette l’accertamento dell’elemento psicologico in cui risiede il criterio distintivo tra l’omicidio volontario (in cui la volontà dell’agente è costituita dall’animus necandi, ossia dal dolo intenzionale, nelle gradazioni del dolo diretto o eventuale) e l’omicidio preterintenzionale (in cui la volontà dell’agente è diretta a percuotere o a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni previsione dell’evento morte, che si determina per fattori esterni) alla valutazione rigorosa di elementi oggettivi desunti dalle concrete modalità della condotta (tra le altre, Sez. 1, n. 35369 del 04/07/2007, dep. 21/09/2007, Zheng, Rv. 237685; Sez. 1, n. 30304 del 30/06/2009, dep. 21/07/2009, Montagnoli, Rv. 244743; Sez. 1, n. 40202 del 13/10/2010, dep. 15/11/2010, Gesuito, Rv. 248438; Sez. 5, n. 36135 del 26/05/2011, dep. 05/10/2011, S. e altri, Rv. 250935), e demanda al giudice di attenersi – al fine di valutare l’esistenza del dolo omicidiario e di verificare se l’evento sia stato escluso o sia stato visto dall’agente come possibile, come probabile o come certa conseguenza diretta della sua azione – a una indagine sintomatica, e cioè agli elementi fattuali indicativi all’esterno della direzione teleologica della volontà dell’agente verso la morte della vittima secondo le regole di esperienza e l’id quod plerumque accidit (tra le altre, Sez. 1, n. 12954 del 29/01/2008, dep. 27/03/2008, Li e altri, non massimata sul punto; Sez. 1, n. 13596 del 28/09/2011, dep. 12/04/2012, Corodda, non massimata sul punto), quali, in via esemplificativa, il comportamento antecedente e susseguente al reato, la natura del mezzo usato, le parti del corpo della vittima attinte, la reiterazione dei colpi (Sez. 1, n. 15023 del 14/02/2006, dep. 02/05/2006, Piras, Rv. 234129, che espressamente riconduce l’omicidio ai reati a forma libera, intesi come fattispecie casualmente orientate), e ancora la direzione e l’intensità dei colpi, la distanza del bersaglio, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscono l’azione cruenta (Sez. 1, n. 28175 del 08/06/2007, dep. 16/07/2007, Marin, Rv. 237177), e ulteriormente la micidialità del mezzo usato, la reiterazione delle lesività, la mancanza di motivazioni alternative dell’azione (Sez. 1, n. 5029 del 16/12/2008, dep. 05/02/2009, De Montis, Rv. 243370).
Nella svolta disamina secondo l’indicato percorso, la Corte di merito, che ha anche ritenuto prive di rilievo ai fini della decisione le ripercorse considerazioni espresse dalla difesa in ordine alla condizione psicofisica dell’imputato e della vittima al momento del fatto, e ha escluso che le richiamate e illustrate dichiarazioni dei testimoni avessero offerto elementi di supporto alla tesi difensiva, ha apprezzato la correttezza delle argomentazione del G.u.p., che aveva individuato il dolo omicidiario diretto escludente la preterintenzionalità, inducendolo da fatti certi, specificatamente indicati (ripetitività dei colpi, loro direzione, violenza crescente con cui sono stati inferti, forza impressa a quello mortale, capacità lesiva del mezzo usato, maggiore di quella di un normale coltello).
La Corte, soffermandosi, poi, sulla questione della reiterazione e della direzione dei colpi inferti con il coccio della bottiglia di vetro rotta al momento, ha motivatamente illustrato gli esiti lesivi individuati dalla consulenza medicolegale in sede latero-cervicale sinistra e nella zona iliaca sinistra, e ha criticamente ripercorso le deduzioni difensive afferenti all’azione lesiva che aveva interessato la regione cervicale antero-laterale, dando circostanziate e ragionevoli risposte, anche sulla base della stessa fotografia richiamata dalla difesa, a conforto della sua tesi, e degli esiti della consulenza medico-legale.
Né la Corte ha prescisso dall’avvertire che anche l’ipotesi della unicità dell’azione lesiva all’origine delle lesioni al collo della vittima, che sarebbe stata comunque in rapporto di continenza con la contestazione originaria, non incideva sulla valutazione relativa alla sussistenza del delitto così come qualificato, considerate le modalità e le caratteristiche dell’azione posta in essere dall’imputato, deponenti conclusivamente per la certa conferma del dolo diretto del ricorrente sotto la forma del dolo alternativo.”