di Laura Giuntoli 18 maggio 2016
leggi in pdf La misura della felicità
I concetti di qualità della vita, felicità, benessere, soddisfazione per la vita, ecc., vengono spesso utilizzati in maniera ambigua e intercambiabile in letteratura. In realtà, si tratta di concetti il cui significato e la conseguente modalità di misurazione sono stati sviluppati entro specifiche cornici teoriche. Di seguito verrà presentata una rassegna dell’evoluzione storica e teorica delle varie concettualizzazioni di felicità e dei costrutti ad essa legati.
La ricerca sulla felicità, nasce in una prospettiva “oggettiva”. I primi ricercatori che si occuparono di benessere e qualità della vita, si focalizzarono sulle condizioni esterne che conducevano ad una vita soddisfacente (Diener, Oishi & Lucas, 2003). Gli indicatori di qualità della vita degli anni ’60 erano essenzialmente di tipo oggettivo, trascuravano gli aspetti più legati all’esperienza soggettiva del benessere ed i ricercatori tendevano ad accettare certe circostanze come fattori che contribuiscono universalmente alla felicità. In effetti, certe cose vengono accettate comunemente come fattori in grado di contribuire al benessere (es. salute, ricchezza, libertà, amore, amicizia), questo perché vediamo che di solito, nella vita di molte persone, sono portatori di felicità (Tatarkiewicz, 1976). Questo punto di vista è da sempre largamente condiviso dalle persone comuni, ed è messo in evidenza anche dai dati ISTAT 2011 (http://www.istat.it/it/archivio/44214) riguardo l’importanza attribuita alle dimensioni del benessere dai cittadini. Gli aspetti della vita giudicati più importanti dalle persone per il benessere personale sono risultati, ai primi posti, la salute, assicurare il futuro dei figli da un punto di vista economico e sociale, un lavoro dignitoso e soddisfacente, un reddito adeguato. In altre parole, le persone cercano la felicità nella salute, nella ricchezza e nello status sociale. Tuttavia, è stato dimostrato che le misure che rilevano oggettivamente la presenza di queste condizioni, correlano scarsamente con le valutazioni self-report di benessere soggettivo. Già nel 1976, Campbell, Converse e Rodgers, mostrarono che i fattori socio-demogafici, come l’età, il sesso, il reddito, il livello di istruzione, lo stato coniugale, ecc. correlavano molto debolmente con il benessere soggettivo (Subjective Well-being; SWB) e spiegavano meno del 10% della varianza totale (Argyle, 1999).
Per chiarire il motivo della mancata corrispondenza fra condizioni di vita oggettive e benessere personale percepito, è utile far riferimento al lavoro di Tatarkiewicz (1976), che ha definito il rapporto tra felicità e fattori che contribuiscono alla felicità, ispirando le attuali ricerche nell’ambito del SWB. Il suo contributo teorico può essere tradotto utilizzando i termini attualmente utilizzati in letteratura: la felicità va intesa come ciò che oggi i ricercatori definiscono benessere soggettivo, mentre i fattori che contribuiscono alla felicità sono qualsiasi cosa che determini un qualsiasi tipo di cambiamento positivo nella felicità, e che oggi vengono chiamati determinanti.
Tatarkiewicz ha definito alcuni assunti di base sul rapporto tra fattori che contribuiscono alla felicità e felicità. Ognuno dei fattori viene abbreviato con Ft e la felicità viene abbreviata con F.
- Nessun Ft è condizione sufficiente per F. Si può avere Ft senza F. Ad esempio, la salute è un fattore che contribuisce alla felicità, eppure è possibile essere sani, ma infelici.
- Nessun Ft è condizione necessaria per F. Ci sono persone che non hanno né salute, né ricchezza, né successo, eppure sono felici. Ciò è dimostrato ad esempio dal disability paradox di Albrecht e Devlieger (1999), ovvero l’evidenza empirica che chi è affetto da qualche malattia o disabilità, spesso ha una percezione di benessere soggettivo non molto distante rispetto a quella dei soggetti sani, non è quindi preclusa loro la possibilità di esperire una “alta qualità della vita nonostante le apparenze” (Albrecht & Devlieger, 1999, p. 979).
- F non è proporzionale a Ft. Non possiamo asserire con certezza che maggiore è la ricchezza, la salute, la quantità di amici che abbiamo, maggiore sarà la nostra felicità. Se questo è vero per alcune persone, l’esperienza dimostra che non tutti traggono vantaggio, in termini di maggiore soddisfazione, dall’abbondanza di una determinata risorsa. Ad esempio, il paradosso di Easterlin[1] ha chiaramente dimostrato che la felicità non è proporzionale al reddito.
- Ft può accrescere F, ma le conseguenze di Ft possono diminuire F. Ad esempio, la ricchezza che si eredita non aumenta sempre la soddisfazione, potrebbe infatti diminuire la felicità portando nuove preoccupazioni e nuove ansietà. Allo stesso modo il matrimonio può accrescere la felicità delle persone, ma in certi casi la convivenza può rivelarsi, col passare del tempo, fonte di disagio e di nuovi problemi. Possiamo immaginare molteplici esempi di questo tipo, in cui il raggiungimento di una meta o di una risorsa auspicabili porta con sé sgradevoli effetti collaterali che influiscono negativamente sul benessere.
La formula che completa e chiarisce la relazione fra felicità e fattori che contribuiscono alla felicità è la seguente: I fattori della felicità Ft sono variabili relativamente indipendenti la cui funzione è la felicità F intesa come variabile dipendente. La formula che esprime questa relazione può essere così sintetizzata: F = f(Ft1, Ft2, Ft3, …, Ftx). Tale formula è puramente descrittiva, dato che non è possibile stabilire una relazione fissa tra felicità e fattori che sia valida per tutti gli individui, piuttosto il valore di ogni fattore viene attribuito dal soggetto stesso, in accordo alle sue preferenze, le sue caratteristiche di personalità, le sue aspettative, ecc. Inoltre, l’influenza di ciascun fattore dipende dalle concomitanze in cui si presenta, quindi dalla complessa interazione fra circostanze di vita e caratteristiche personali dell’individuo. Ad esempio, l’arrivo di un figlio può essere fonte di felicità per una donna che lo desidera, se vive una situazione stabile dal punto di vista affettivo ed economico, ma può essere fonte di preoccupazione per la stessa donna nel caso non ci siano circostanze concomitanti favorevoli, come ad esempio una crisi coniugale o la precarietà nel lavoro.
Queste osservazioni mettono in luce le criticità della misurazione della qualità della vita in termini oggettivi. Dato che ogni persona ha i suoi personali metri di giudizio, i ricercatori hanno cominciato a valutare come le persone percepiscono gli eventi e le circostanze (Diener, Suh, Lucas & Smith, 1999), quindi i loro giudizi personali.
- Misurare la felicità attraverso un singolo item globale
Le misure più popolari del SWB sono quelle composte da un singolo item che valuta la soddisfazione o la felicità globale nella vita. Uno dei primi strumenti proposti è stato il Cantril’s ladder (Cantril, 1965), in cui viene mostrata un’immagine di una scala con 10 pioli dove il piolo più alto rappresenta “La migliore vita possibile per me” e quello più basso “la peggiore vita possibile per me”. La scala permette al soggetto di rispondere alla domanda: “Dove ti trovi sulla scala in questo momento?”.
Andrews e Withey (1976) proposero la Delighted-Terrible Scale, una scala a 7 punti in cui le risposte alla domanda “Come ti senti riguardo alla tua vita nell’insieme?” variano da Felice a Terribilmente. La domanda viene ripetuta due volte, all’inizio e alla fine di un questionario di 32 domande relative alla soddisfazione in aree specifiche della vita. La somma delle due risposte all’item singolo fornisce un indice, noto come Life 3.
Analogamente, Campbell et al. (1976) hanno proposto il singolo item: “Quanto sei soddisfatto della tua vita nell’insieme in questi giorni?” (Campbell et al., 1976). Anche in questo caso le risposte si collocano su una scala di 7 punti.
Successivamente Fordyce (1978) ha utilizzato il singolo item “In generale, quanto ti senti felice o infelice di solito?”. Al rispondente vengono fornite 11 opzioni di risposta, ognuna ancorata ad una serie di aggettivi riferiti all’umore; ad esempio, la scelta più alta è ancorata a “sentimento estremamente felice, estatico, gioioso e fantastico”.
Il vantaggio di queste misure costituite da un singolo item è che sono veloci e semplici da somministrare: sono chiaramente comprensibili per i rispondenti e facili da analizzare per i ricercatori. Tuttavia, l’attendibilità e la validità degli item singoli non possono essere facilmente determinate. Nella prospettiva della teoria classica dei test, il punteggio osservato può essere scomposto in tre componenti: punteggio vero, punteggio dovuto all’errore casuale e punteggio dovuto all’errore sistematico. Dato che un singolo item come misura del benessere soggettivo può essere molto sensibile agli errori sistematici e casuali, dando luogo ad un elevato rapporto di varianza dell’errore rispetto alla varianza vera (Larsen & Fredrickson, 1999), i risultati basati su misure con un singolo item dovrebbero essere interpretati in modo molto prudente. Schwarz e Strack (1991) hanno fornito un impressionante elenco di possibili fonti di distorsione relative all’utilizzo degli item singoli, tra cui le condizioni meteorologiche, il momento della giornata in cui avviene la rilevazione, i vari aspetti su cui l’intervistatore richiama l’attenzione del soggetto, il contesto in cui avviene la rilevazione (ad esempio un laboratorio disagevole piuttosto che accogliente, oppure la presenza di una persona disabile nella stessa stanza) e il modo in cui le domande vengono formulate. Nonostante le numerose critiche, non mancano i sostenitori dell’adeguatezza di queste misure globali di SWB; Cummis, ad esempio, afferma che una singola domanda generale nella forma “Quanto sei soddisfatto della tua vita in generale?” permette di soddisfare due caratteristiche molto desiderabili per la misurazione del SWB, ovvero gli alti livelli di soggettività e di astrazione. L’alto livello di astrazione, in particolare, permette ad ogni individuo di combinare le varie soddisfazioni dominio-specifiche, che hanno un peso del tutto personale, in un unico giudizio complessivo. Tuttavia, Schwarz e Strack (1991) fanno notare che la richiesta di formulare un unico giudizio generale sulla propria vita, pone al rispondente un compito estremamente difficile. Sul piano teorico, sappiamo che nella formulazione dei giudizi intervengono strategie di semplificazione, ovvero le persone fanno ricorso ad euristiche. Le persone hanno a disposizione numerose fonti di informazione per giungere ad una valutazione finale sulla propria vita, che possono essere schematizzate in due grandi gruppi: informazioni derivanti dallo stato affettivo attuale e informazioni derivanti dai processi cognitivi di confronto con numerosi termini di paragone. Di fronte ad un singolo item globale, il rispondente è libero di utilizzare qualsiasi criterio preferisca per dare la sua valutazione, tuttavia i processi mediante i quali egli arriva a formulare questo giudizio rimangono oscuri ai ricercatori, lasciandoli nel dubbio riguardo a ciò che stanno realmente misurando. Ciò mette in luce il problema dell’indeterminatezza del processo euristico messo in atto dalle persone, in altre parole i ricercatori non sono in grado di stabilire in quali condizioni gli individui fanno riferimento ad un tipo di informazione affettiva oppure cognitiva (Schwarz & Strack, 1991).
- Misurare il benessere soggettivo attraverso le sue componenti: il modello di Diener
Nel suo influente articolo del 1984, Diener ha proposto che il Benessere Soggettivo può essere definito come: presenza di soddisfazione per la vita (Life Satisfaction, LS), presenza di affect positivo (Positive Affect, PA) e assenza di affect negativo (Negative Affect, NA). Successivamente, Diener, Suh, Lucas, e Smith (1999) hanno incluso nella definizione di SWB anche la soddisfazione per specifici domini della vita (domain satisfaction = DS). Nella Figura 1 viene proposta una schematizzazione delle principali componenti del SWB.
Figura 1: Concettualizzazione del costrutto di Benessere Soggettivo
Attualmente i ricercatori concordano nel distinguere tra componenti cognitive e affettive del SWB (Diener, 1984; Diener et al., 1999; Cummins, 2010). La soddisfazione per la vita e la soddisfazione dominio-specifica sono considerate componenti cognitive, perché si basano sulle valutazioni, credenze, atteggiamenti, delle persone riguardo le loro vite. La componente affettiva del SWB è valutata attraverso l’affect positivo e l’affect negativo, che riflettono la quantità di sentimenti piacevoli e spiacevoli che le persone esperiscono nelle loro vite. La misura delle componenti cognitive si basa sul costrutto di soddisfazione per la vita, che rappresenta un resoconto di come un rispondente valuta la sua vita nell’insieme. Ha l’obiettivo di rappresentare una valutazione ampia e riflessiva che la persona fa della sua vita (Diener, 2006). Per comprendere il costrutto di LS, possiamo fare ancora riferimento al lavoro sulla felicità di Tatarkiewick, che fornisce più o meno implicitamente le basi teoriche per la ricerca nell’area del benessere soggettivo (Diener, 1984). Secondo Tatarkiewicz, la definizione più appropriata di felicità è una particolare forma di soddisfazione, che risponde a tre condizioni fondamentali: (a) deve rappresentare una soddisfazione piena, completa; (b) deve riguardare la vita nel suo complesso; (c) deve essere durevole (Tatarkiewicz, 1976, p. 46). La sua definizione di felicità come soddisfazione completa, duratura, tale da interessare la vita nella sua totalità à stata esplicitamente utilizzata da Diener per la definizione del costrutto di LS, che si riferisce a un processo di giudizio cognitivo riguardo la vita in generale (Diener, 1984). Più in particolare, Diener fa riferimento alla definizione di Shin e Johnson (1978) di soddisfazione per la vita come una “valutazione globale della qualità della vita di una persona in accordo ai propri criteri”.
La soddisfazione dominio-specifica (Domain Satisfaction = DS) è il giudizio che danno le persone nella valutazione dei più importanti domini della vita, come la salute mentale e fisica, il lavoro, il tempo libero, le relazioni sociali e la famiglia. In genere, le persone indicano quanto sono soddisfatte nelle varie aree, ma potrebbero anche indicare quanto gli piace la loro vita, quanto sono distanti dal loro ideale, quanto piacere esperiscono e quanto vorrebbero cambiare le loro vite, per ogni area della vita. La definizione dei domini specifici è molto controversa. Cummins (1996) ha individuato 173 nomi diversi utilizzati in letteratura per definire i vari domini, il 68% dei quali potevano essere classificati entro sette categorie: tenore di vita, realizzazione personale, relazioni, salute, sicurezza futura, connessione con la comunità e sicurezza personale. Attraverso l’utilizzo di queste dimensioni Cummins ha costruito il ComQol (Cummins, 1995) e successivamente il PWI (Cummins, Eckersley, Pallant, Van Vugt, & Misajon, 2003). I punteggi ottenuti con gli strumenti di soddisfazione dominio-specifica non possono essere sommati per dare dei punteggi di soddisfazione generale, dato che ogni dominio della vita avrà un peso diverso per ciascun individuo. Ad esempio, c’è chi dà grande importanza alla carriera lavorativa e meno alla famiglia, oppure chi trae molta soddisfazione dalle relazioni sociali e chi non vi è interessato. Ciò significa che le circostanze di vita hanno effetti positivi, negativi o ininfluenti a seconda dell’area della vita in cui una persona viene colpita e a seconda della personale scala di valori dell’individuo. Detto in altri termini, se un individuo ha subito recentemente una grande delusione in amore, potrebbe rispondere che è molto soddisfatto del suo tenore di vita, del suo lavoro, della sua salute, ecc, ma insoddisfatto nel dominio delle relazioni; se facessimo una media dei suoi punteggi, otterremmo che quell’individuo è abbastanza soddisfatto, mentre in realtà la delusione in amore ha un peso così grande nella sua vita da farlo sentire profondamente infelice. Tuttavia, gli strumenti che misurano la soddisfazione dominio-specifica, possono rivelarsi utili in molteplici casi, ad esempio nell’ambito della ricerca scientifica, oppure nell’ambito delle politiche sociali, dove possono essere utilizzati per fornire maggiori informazioni ai decisori politici sulla percezione di benessere dei cittadini in specifici ambiti della vita. La soddisfazione dominio-specifica resta comunque un campo di indagine in gran parte da esplorare, dato che risulta molto complesso stabilire quali e quante sono le dimensioni da considerare tra le più rilevanti nella vita degli individui in generale.
Un altro aspetto controverso riguarda la relazione causale fra LS e DS. Le prime ricerche si sono quasi tutte concentrate sulle variabili DS come cause della LS, tuttavia l’unico tipo di relazione osservabile fra queste misure è la correlazione. Diener (1984) ha distinto fra teorie bottom-up e top-down del SWB, che si riferiscono al rapporto causale tra le componenti cognitive del SWB, ovvero al rapporto fra soddisfazione per la vita e soddisfazione dominio specifica (LS-DS).
Le teorie bottom-up assumono che i giudizi globali di soddisfazione per la vita siano basati sulla valutazione della soddisfazione relativa ai domini della vita (Andrews & Withey, 1976; Brief, Butcher, George, & Link, 1993; Heller, Watson, & Hies, 2004; Schimmack, Diener, & Oishi, 2002). Queste teorie assumono che la correlazione LS-DS rifletta l’influenza causale di DS su LS. In particolare, vengono scelti alcuni domini e si assume che la combinazione additiva lineare della soddisfazione nei diversi domini sia in grado di spiegare il SWB (Headey, Veenhoven & Wearing, 1991). Per esempio, si assume che se una persona ha un alto livello di soddisfazione per le sue relazioni interpersonali, per il lavoro, per le attività del tempo libero, avrà anche un alto livello di soddisfazione per la vita, dato che tutti i domini elencati sono aspetti egualmente importanti della soddisfazione generale per la vita.
Le teorie top-down sostengono invece che la direzione di causalità va da LS a DS. Chi è soddisfatto della sua vita in generale, tende a valutare positivamente anche i domini specifici della vita, quindi la soddisfazione generale per la vita non si basa sulla soddisfazione per specifici domini. Diener (1984), nota che le alte intercorrelazioni fra i diversi domini potrebbero rappresentare l’evidenza della validità di un modello top-down. Le alte correlazioni fra i vari domini, suggeriscono che la soddisfazione dominio-specifica potrebbe essere semplicemente il risultato del livello complessivo di soddisfazione per la vita. In altre parole, mentre i modelli bottom-up assumono che un cambiamento in DS si traduca in un cambiamento in LS, i modelli top-down assumono che i cambiamenti in DS non abbiano alcun effetto su LS.
Una terza possibilità, messa in luce da Costa e McCrae (1980), è che le relazioni causali tra soddisfazioni dominio-specifiche e misure di SWB siano in realtà spurie, con entrambi i set di variabili dipendenti da tratti stabili di personalità, in particolare estroversione e nevroticismo. I tre modelli non sono mutuamente escludentisi (Headey, Veenhoven & Wearing, 1991), dato che ancora non è stata fornita alcuna prova concreta della direzione causale fra queste variabili. Infatti, per dire che A causa B, bisogna dimostrare che:
- A e B sono correlati
- La correlazione non è interamente spuria
- A precede temporalmente B (i cambiamenti in A precedono quelli in B)
La terza condizione è quella che presenta maggiori difficoltà, e che può essere indagata solo attraverso studi longitudnali.
La misura delle componenti affettive riguarda la rilevazione dell’affect positivo e negativo delle persone, e costituisce un ambito di indagine che spesso viene trattato separatamente dalla misura delle componenti cognitive. La letteratura sull’affect coinvolge un vasto numero di ricerche e di teorie, tuttavia nell’ambito della ricerca sul SWB, viene generalmente accettata la concettualizzazione e l’operazionalizzazione del costrutto secondo la prospettiva di Watson e Tellegen (1985). Secondo questi autori l’affect può essere misurato considerando le sue due dimensioni fondamentali, quella positiva e quella negativa. L’Affect Positivo (PA) riflette la misura in cui una persona si sente entusiasta, attiva e vigile. Alti livelli di PA indicano uno stato di elevata energia, piena concentrazione e impegno piacevole, mentre i bassi livelli di PA sono caratterizzati da tristezza e letargia. L’Affect Negativo (NA) è una dimensione generale che esprime distress ed emozioni spiacevoli, e che si riconduce ad una varietà di stati d’animo negativi, tra cui rabbia, disprezzo, disgusto, senso di colpa, paura e nervosismo. Livelli bassi di NA indicano uno stato di calma e serenità. Contrariamente a ciò che ci potremmo aspettare, l’affect positivo e l’affect negativo non sono inversamente proporzionali e non devono essere considerati come i due poli opposti della stessa dimensione (Diener & Emmons, 1984).
Bradburn (1969) è stato il primo a proporre di misurare il benessere psicologico generale come bilancio fra affect positivo e negativo. L’Affect Balance Scale è una scala composto da 10 item, 5 per la sottoscala affect positivo e 5 per la sottoscala affect negativo. Il punteggio complessivo si ottiene sottraendo NA da PA.
Anche il Positive and Negative Affect Schedule (PANAS: Watson, Clark e Tellegen, 1988) misura PA e NA separatamente, mentre più recentemente Diener et al. (2010) hanno proposto la Scale of Positive and Negative Experience (SPANE).
Alcuni dei problemi fondamentali messi in evidenza per la misurazione dell’affect attraverso strumenti self-report, riguardano il fatto che persone diverse identificano e nominano differenti esperienze in modi diversi, alcune persone negano o ignorano le emozioni, oppure sono riluttanti a riportare le loro emozioni, inoltre, gli individui esperiscono e ricordano diverse emozioni con differenti livelli di intensità, frequenza e durata (Diener, 1994), per cui la valutazione dell’affect basata soltanto sui self-report dovrebbe essere condotta con molta cautela (Russell, 1991).
- L’approccio edonico di Kahneman
Kahneman riconosce la distinzione fondamentale fra due dimensioni della felicità: quella esperenziale e quella valutativa (vedi es. Kahneman & Riis, 2005). Questa posizione è analoga a quella di Diener che distingue fra componenti affettive e cognitive del SWB, tuttavia, Kahneman prende le distanze dai metodi di misura tradizionali sul SWB e si pone in una prospettiva puramente edonica, conferendo primaria importanza alla componente affettiva. Kahneman (in Kahneman, Wakker & Sarin, 1997) rivisita il concetto classico di utilità di Bentham (1798) riferendosi ad esso come utilità esperita (experienced utility) e si confronta con la possibilità di misurarla al fine di poter costruire degli indicatori di benessere. L’utilità, così come la intendeva Bentham, riguarda il piacere e il dolore, ossia la dimensione edonica dell’esperienza: “La natura ha posto l’umanità sotto il governo di due sommi sovrani, il dolore e il piacere. Soltanto in riferimento a essi si stabilisce ciò che si deve fare, come ciò che si farà” (cit. in Kahneman, 2012, p. 35). La critica che Kahneman (2000) rivolge alle tradizionali misure di SWB è che si basano su una valutazione retrospettiva del soggetto riguardo la propria esperienza di vita. Le valutazioni retrospettive di esperienze sono soggette a stime erronee della vera utilità totale delle esperienze passate. Le valutazioni cognitive sono soggette a numerosi bias (Schwarz & Strack, 1991), per cui non permettono di ricavare una misura reale, o oggettiva, di felicità. In numerosi lavori di Kahneman viene messa in evidenza l’incapacità delle persone di compiere valutazioni razionali, utilizzando le stesse parole dell’autore “le persone generalmente non sanno quanto sono felici” (in Kahneman, Diener & Schwartz, 1999, p. 21). Per evitare i bias dovuti al richiamo mnestico, Kahneman ha elaborato un approccio basato sul momento (moment-based) per misurare la felicità oggettiva. Il termine “oggettiva” è usato in quanto il giudizio di felicità è ottenuto secondo regole oggettive, mentre i dati utilizzati per il giudizio finale sono le esperienze soggettive.
Il metodo attraverso il quale si assume possa essere effettuata una rilevazione oggettiva della felicità è il “metodo per il campionamento dell’esperienza” (Experiencing Sampling Method, ESM), una procedura che permette di compiere numerose rilevazioni in tempo reale (Csikszentmihalyi & Larson, 1987, Csikszentmihalyi, 1990; Stone, Shiffman, DeVries & Frijters 1999). Kahneman fa derivare l’utilità esperita di un episodio (utilità totale) dalle misure in tempo reale del piacere e del dolore (utilità-momento) che il soggetto ha sperimentato durante quell’episodio. Dato un episodio di una certa durata temporale, la registrazione momento per momento dell’utilità, misurata attraverso la sua valenza (positiva o negativa) e intensità (da lieve a estrema), permette di ottenere un profilo temporale di utilità-momento. L’utilità totale è calcolata attraverso l’integrale dell’utilità-momento. Come l’utilità totale, la felicità oggettiva è un concetto basato sul momento, che viene operazionalizzato esclusivamente da misure dello stato affettivo delle persone in particolari momenti nel tempo. In questo senso, la felicità oggettiva differisce dalle misure standard di benessere soggettivo, che sono basate sul richiamo mnestico e richiedono al soggetto di segnalare una valutazione globale del passato recente.
- L’approccio eudamonico al benessere
Dalla pubblicazione di Well-being: the foundations of hedonic psychology (Kahneman, Diener & Schwartz, 1999), il SWB è stato associato all’approccio edonico al benessere. Una più precisa interpretazione del benessere edonico, tuttavia, dovrebbe utilizzare solo l’affect positivo e negativo come indice di felicità, poiché, come abbiamo visto, la soddisfazione per la vita così come è stata operazionalizzata da Diener non è strettamente un concetto edonico, ma comprende anche una valutazione cognitiva delle condizioni di vita. L’approccio edonico in senso stretto, è quello a cui fa riferimento il lavoro di Kahneman. Definire edonica la tradizionale prospettiva di ricerca sul SWB nell’ambito delle scienze sociali sarebbe scorretto, ma in letteratura questa etichetta serve soprattutto per contrapporla all’approccio eudamonico, che nella definizione di Tooby e Cosmides (1992) è volto ad attribuire un contenuto alla natura umana e lavora per scoprire quel contenuto e per capire le condizioni che facilitano o ostacolano il suo dispiegamento.
La visione eudamonica può essere fatta risalire alla filosofia tardo-aristotelica e allo sviluppo di varie tradizioni intellettuali del XX secolo, inclusa la psicologia umanistica. Secondo Waterman (1993), il fatto che le persone riportino di essere felici (o che hanno affect positivo o che sono soddisfatte), non significa che stiano bene psicologicamente. L’eudamonia si riferisce al vivere bene o all’attualizzazione del potenziale umano. Questa concettualizzazione stabilisce che il benessere non è solo un risultato o uno stato finale, piuttosto è un processo di realizzazione della propria natura, di attualizzazione del proprio potenziale virtuoso e del vivere interamente come uno ha intenzione di vivere. Fra le teorie più importanti elaborate nell’ambito eudamonico vi sono quelle di Ryff (1989), Deci e Ryan (1985), e Csikszentmihalyi (1990).
Carol Ryff (1989) ha elaborato il costrutto di benessere psicologico (Psychological Well-Being), definendolo come ‘lo sviluppo e l’auto-realizzazione dell’individuo’ (Ryff, 1989). Il lavoro di Ryff prende come riferimento l’estesa letteratura sul funzionamento psicologico positivo, ad esempio il concetto di auto-realizzazione di Maslow (1968), di persona pienamente funzionante di Rogers (1961), di individuazione di Jung (1933) e di maturità di Allport (1961). Un’ulteriore dimensione presa in considerazione deriva dalle prospettive dello sviluppo nell’arco della vita (Life Span), che sottolineano le diverse sfide da affrontare nelle varie fasi del ciclo di vita, ad esempio il modello di Erikson (1959) delle fasi di sviluppo psicosociale, il concetto di Buhler di tendenze di base nella vita verso il compimento personale (Buhler, 1935; Buhler & Massarik, 1968), le descrizioni di Neugarten (1968, 1973) di come la personalità cambia in età adulta e nella terza età e i criteri positivi di salute mentale di Jahoda (1958). Carol Ryff (1982, 1985) nota che queste prospettive hanno avuto uno scarso impatto sul piano empirico, soprattutto per la mancanza di misure valide, ma anche per la difficoltà di decidere quali fra le molte concettualizzazione catturano le caratteristiche fondamentali di funzionamento psicologico positivo. Ryff (1989) ha sintetizzato in un unico modello teorico di benessere psicologico le sei dimensioni fondamentali che emergono dalle teorie precedentemente citate: (a) accettazione di sé, (b) crescita personale, (c) scopo nella vita, (d) padronanza ambientale, (e) autonomia, (f) relazioni positive con gli altri.
Deci e Ryan (1985) hanno proposto la teoria dell’autodeterminazione, in cui l’essere umano è visto come un organismo attivo che tende a realizzare le proprie capacità e a sviluppare armonicamente i vari aspetti della sua personalità. Secondo Deci e Ryan in ogni persona ci sono tre bisogni innati fondamentali: (a) bisogno di competenza: sentirsi efficace nelle interazioni con l’ambiente e nell’esercitare ed esprimere le proprie capacità; (b) bisogno di autonomia: sentirsi in grado di compiere delle scelte, di impegnarsi in attività che nascono dalla propria volontà e non sono causate o imposte dalla volontà altrui; (c) bisogno di relazioni con gli altri: sentirsi integrati con gli altri, sentirsi appartenenti a un gruppo o una comunità, star bene con gli altri. Solo se il soggetto vive in un ambiente che promuove la sua autodeterminazione, ovvero che gli dà la possibilità di soddisfare i suoi bisogni fondamentali, avrà la possibilità di accrescere la sua motivazione e sviluppare un senso del sé unitario e integrato.
La teoria del flow di Mihaly Csikszentmihalyi (1990) si differenzia dalle due teorie precedenti, poiché cerca di rintracciare le fonti di benessere e felicità all’interno dell’individuo. Il lavoro teorico di Csikszentmihalyi avviene a partire dagli anni ‘60, quando per la sua tesi di dottorato si interessò allo studio approfondito di un gruppo di pittori e scultori. Egli notò il coinvolgimento intenso degli artisti, che passavano ore e ore, nella massima concentrazione, a realizzare la loro opera. La ricerca di una spiegazione a questa particolare esperienza, non poteva basarsi sul paradigma comportamentista del tempo, ovvero sulla spiegazione del comportamento in termini di rinforzo esterno. Il lavoro teorico e di ricerca di Csikszentmihalyi si inscrive piuttosto nel concetto di “motivazione intrinseca” e di “espereinza autotelica”. L’esperienza autotelica si riferisce a quelle attività che una persona intraprende senza l’aspettativa di ricevere in cambio alcun beneficio, ma semplicemente perché l’azione stessa dà gratificazione (Csikszentmihalyi, 1997). Questa definizione si riassume nel termine flow, ovvero flusso, che è l’espressione più utilizzata dalle persone intervistate da Csikszentmihalyi quando descrivevano le loro esperienze autoteliche (l’analisi di tali colloqui ebbe come esito la pubblicazione di Beyond Anxiety and Boredom nel 1975). L’attenzione di Csikszentmihalyi si è dunque rivolta alla qualità dell’esperienza soggettiva che rende il comportamento intrinsecamente gratificante. Per studiare il flow in un contesto naturale, Csikszentmihalyi (Csikszentmihalyi, & Larson, 1987) ha sviluppato l’Experience Sampling Method (ESM). Questa procedura richiede ai partecipanti di portare con sé un cercapersone per una settimana e di compilare un questionario ogni volta che ricevono il segnale. Il cercapersone emette un segnale acustico circa 8 volte al giorno, in maniera casuale. In questo modo è possibile registrare i rapidi cambiamenti di stato di coscienza durante le normali condizioni di vita quotidiana: i partecipanti devono riportare il loro stato mentale su una varietà di dimensioni, indicando su una scala a 7 punti se si sentono da “molto felici” a “molto tristi”. I risultati con L’ESM indicano che potenzialmente quasi tutte le attività umane possono produrre un’esperienza di flow (o esperienza ottimale) e che le persone tendono a sentirsi maggiormente felici quando sono coinvolte in attività che richiedono poche risorse materiali, ma un investimento relativamente elevato di risorse psichiche (ad esempio gli hobby). Nel lungo periodo, le esperienze ottimali si sommano a formare un senso di padronanza, di partecipazione, andando a determinare il senso della vita. Poiché l’esperienza ottimale dipende dalla capacità di controllare ciò che accade nella coscienza, momento per momento, ogni persona ha la possibilità di raggiungerla grazie ai suoi sforzi individuali e alla sua creatività. Ciò accade quando l’energia psichica, l’attenzione, sono investite in obiettivi realistici e quando le competenze sono compatibili con le opportunità di azione.
Il successo della prospettiva eudamonica ha portato recentemente alla nascita della psicologia positiva. Il movimento della psicologia positiva è stato annunciato da Seligman alla fine degli anni novanta (Seligman, 1999) e formalizzato in un articolo di Seligman e Csikszentmihalyi del gennaio 2000. Il messaggio chiave che lanciano gli autori, è che “gli psicologi hanno una scarsa conoscenza di ciò rende la vita meritevole di essere vissuta. […]. [La psicologia] si è concentrata sulla riparazione di ciò che non va, adottando un modello di malattia del funzionamento umano. Questa attenzione quasi esclusivamente rivolta alla patologia trascura la realizzazione dell’individuo e il fiorire della comunità” (Seligman & Csikszentmihalyi, 2000, p. 5). Lo scopo del movimento è quello di catalizzare un cambiamento interno alla psicologia tradizionale, spostando l’attenzione dagli aspetti negativi e disadattivi, verso le qualità positive delle persone (Seligman & Csikszentmihalyi, 2000).
In passato l’approccio edonico e quello eudamonico allo studio del benessere erano considerati due distinte aree di ricerca, quasi inconciliabili. Se da una parte la tradizione edonica si è concentrata sull’operazionalizzazione del costrutto di benessere soggettivo e sulla costruzione di indicatori sociali, dall’altra la tradizione eudamonica si è maggiormente focalizzata sullo sviluppo di molteplici teorie che potessero spiegare l’agire umano teso alla realizzazione personale e alla felicità. Più recentemente, alcuni autori hanno precisato che l’approccio edonico ed eudamonico sembrano così distanti tra loro semplicemente perché è diverso l’oggetto della loro ricerca: mentre in ambito edonico l’interesse è rivolto alla misura diretta, in ambito eudamonico l’interesse è orientato alla ricerca degli antecedenti del benessere soggettivo. Negli ultimi anni è diventato chiaro che il benessere soggettivo è un costrutto multidimensionale e complesso, per cui l’approccio eudamonico non può che apportare un importante contributo alla comprensione e alla misurazione del benessere soggettivo (Ryan & Deci, 2001).
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[1] Nel 1974 Richard Easterlin pubblicò un articolo: “Does economic growth improve the human lot?”, chiedendosi appunto se fossero davvero i soldi a fare la felicità. Easterlin evidenziò che nel corso della vita la felicità delle persone dipende molto poco dalle variazioni di reddito e di ricchezza. Questo paradosso, secondo Easterlin, si può spiegare osservando che, quando aumenta il reddito, e quindi il benessere economico, la felicità umana aumenta fino ad un certo punto, poi comincia a diminuire, seguendo una curva ad U rovesciata (Easterlin, 1974). Il paradosso di Easterlin ha messo in crisi l’impostazione mondiale dei mercati indirizzati alla crescita misurata sulla base del PIL ed ha portato economisti e psicologi ad interrogarsi più approfonditamente su che cosa intendono le persone per “felicità”. Se, infatti, raggiungere il benessere economico non garantisce una vita felice, il paradosso di Easterlin induce a riflettere su quali obiettivi e quale stile di vita è meglio perseguire e quali sono le prospettive di benessere sociale per una società che intenda mettere la persona e i suoi bisogni al centro di ogni decisione pubblica (Kahneman, Krueger, Schkade, Schwarz & Stone, 2006).