di Irene Battaglini 18 gennaio 2015
leggi in pdf Commentario a Psicoanalisi, Ideologia ed Epistemologia
È alla ideologia, a questa tenebrosa metafisica che ricercando con sottigliezza le cause originarie, vuole su tali basi fondare la legislazione dei popoli in luogo di adattare le leggi alla conoscenza del cuore dell’uomo e alle lezioni della storia, che vanno attribuiti tutti i mali che ha provato la nostra bella Francia.
Napoleone Bonaparte2Il sogno svela la realtà che l’idea si lascia molto addietro.
F. Kafka3
Mi dispongo a scrivere intorno al saggio che abbiamo l’onore di presentare alla Scuola di Psicoterapia Erich Fromm, Psicoanalisi, Ideologia ed Epistemologia, con l’idea che carta e penna siano gli strumenti principali di un critico, nell’esercizio espressivo del suo compito: raccolti i materiali, annotati gli snodi concettuali, altro non resta che far emergere le parole a definire, intorno ai pensieri, quei confini alfabetici che il logos trasforma in canali di comunicazione. Tuttavia proprio in questo momento sono attratta dalla notizia che il Lander Philae sta “agganciando” la Cometa 67/P Churyumov Gersimenko. “Tanta scienza nostra”, ribadisce la giornalista, con la voce irrimediabilmente rotta da un pianto che le si chiude, contratto, in gola: un pianto che non si sente più, sfumato in coda al servizio, ma che tuttavia continuo ad avvertire, come se un po’ mi appartenesse.
Questa emozione, ho pensato subito, è la ragione ultima di dieci anni di attesa, cui sono preceduti altrettanti anni di investimenti, di speranze, di ricerche e di studi. Una scommessa in cui nessuno più sembrava credere, approdare sulla superficie di un brandello di universo mai raggiunto prima: una incursione nell’inconscio geofisico del mondo. Philae ha avuto soltanto due giorni per la raccolta di elementi dagli archeostrati della cometa, che è vecchia quattro miliardi di anni. Due soli giorni per offrire un senso al viaggio prometeico di Philae. Perché Philae non può essere soltanto quel simpatico robottino che nell’arco di 48 ore morirà di freddo, disintegrandosi sulla superficie di quella creatura titanica e spaventosa che nessuno ha mai davvero visto da vicino, a parte lui? Può essere ridotto a strumentario, laboratorio spaziale, in un contesto che in lunga teoria è replicabile e, dunque, falsificabile. Eppure Philae è “mondo vissuto”, in senso husserliano, è una estensione dell’Io del mondo, una figura eroica in grado di esprimere il desiderio più profondo e atavico dell’Uomo: possedere il mondo, controllarne ogni possibile manifestazione, penetrarne il cuore e contarne i battiti, colonizzarlo, abitarlo, desiderandolo al punto da ucciderlo. Questi ultimi assunti sono evidentemente indimostrabili. Indimostrabili se a misurarli è il parametro del logos. La filosofia, e lo dice Maurizio Zani al capitolo, 12.Antropologia filosofica: scarso affetto per le emozioni, si è occupata quasi esclusivamente della ragione, facendo assurgere a metodo il proprio oggetto di studio, in una sorta di narcisismo metodologico retroattivo. Sostiene Adriana Gloria Marigo a questo proposito:4
Il campo d’indagine è ovviamente l’uomo, meglio l’ESSERE: fin dai più lontani presocratici si diede come assunto per il giusto ragionare la logica, poiché il “logos” era individuato come il più alto e sacro elemento per collocare l’uomo entro ilrapporto con il mondo e con dio. Tutto quanto per essere in dignità di vero e buono doveva rientrare entro i perimetri squisitamente della logica, ma non solo: come ben esprime Zani, alcuni elementi costitutivi l’essere – pur individuati e dichiarati appartenenti all’uomo – non sono ritenuti decisivi d’indagine in quanto non rispondenti al progetto della ragione, e ascrivibili a espressioni ”minori” dell’umano pensare e agire.
Lungo la storia della filosofia non si è usciti da questo percorso, salvo alcuni noti tentativi che restano una eccezione e non cambiano il percorso, non sono riusciti ad affrancare la logica dal suo strapotere, a integrarla con un “discorso funzionale alle Emozioni”, non hanno compensato la “logica” con un metodo proprio e intrinsecamente corrispondente alla tanta materia delle emozioni. Le emozioni restano appannaggio della letteratura – poesia in particolare (e sulla poesia è interessante il dialogo Jone di Platone dal quale discende la concezione negativa che il filosofo ha per l’espressione poetica)- la quale non indaga sulle “ragioni delle emozioni” e solo con l’avvento della psicologia si inizia a considerare il cosmo delle emozioni nella loro nascita e struttura:
Dunque, psicologia e psicoanalisi si appropriano di quell’ambito che filosofia non ha indagato, o solo indagato in modo approssimativo in quanto inficiata da pregiudizio originale: credo, al riguardo (è un pensiero mio, questo), che all’inizio dell’indagine filosofica il pensiero fosse strutturato per giungere su quell’orizzonte grandioso della logica, desse i risultati altrettanto grandiosi che conosciamo e più tardi, per una sorta
di “narcisismo” del metodo, non si sia fatto il salto, non si sia fondato – entro la filosofia stessa – il regno d’indagine sulle emozioni. La Logica è lo studio del retto ragionare, quale nome possiamo coniare per il retto indagare le Emozioni nell’ambito di Filosofia? Voglio citare qui proprio una lettura di ieri e riguarda l’incontro di Martin Heidegger con Paul Celan: il filosofo e il poeta ritenuto da Heidegger eccelso. Alla baita nella
Selva Nera l’incontro fu disastroso: il dialogo tanto atteso tra i due grandissimi non avvenne, fu delusione e disillusione.
Che la struttura stessa della Filosofia sia dunque inadatta, inficiata di una anomalia per la quale le è impossibile scendere nel magma delle emozioni, oppure sia attraversata tutta dalla sua stessa ombra di cui può parlare solo la Psicoanalisi che di
Filosofia sembra la sorella dai caratteri personalissimi, inconfondibili, la testimonianza di una individualità precisissima e non ancillare?
A mio umile parere non è necessario fare appello da una categoria uguale e contraria al logos, per “valutare” le emozioni che ci hanno investito alla vista del Lander Philae. Chiamiamo per questo in causa Pathos, l’Eros e, ho ragione di credere, Thanatos. Il campo semantico di Logos diventa insufficiente, e così la sua metodologia di procedere per antitesi anziché per qualità delle passioni e grandi movimenti del cuore e del pensiero; dei due peccati rimproverati a Freud, la passione e il riduzionismo; la passione come ragionare del cuore, il ragionare col cuore, è sicuramente il più dolce e meno esecrabile; e forse oggi con Damasio e le recenti frontiere dell’Epigenetica, possiamo pensare che quel peccato fu, probabilmente, un peccato di visione: aver visto prima, aver saputo con anticipo, aver intuito e fatto del sentire del cuore, del sogno e dell’idea, un dogma. Con Massimo Recalcati:
In questo senso Lacan ci ricorda che il peccato commesso, da Freud è consistito non soltanto nell’aver razionalizzato quello che fino a quel momento aveva resistito alla razionalizzazione, ma anche nell’aver messo in luce una vera e propria ragione ragionante; che ragionava e funzionava secondo una logica, all’insaputa del soggetto, e ciò nel campo classico dell’irrazionalismo, il campo della passione. È questo che non gli hanno perdonato5.
Perché l’idea è cuore, è prevalentemente pensiero di immagine. Crick, all’indomani della “scoperta” della doppia elica, emette una sorta di editto, che di fatto resta un dogma scolpito nella pietra della scienza per molto tempo: i geni possiedono i codici di inscrizione delle successive sintesi proteiche cui danno luogo. Il tema è scottante e delicato al tempo stesso.
Con Bottaccioli:
Nel 1970, dopo che erano emersi alcuni fatti che mettevano in discussione il “dogma centrale”, Crick torna sulla questione ribadendo la validità del dogma secondo cui ogni gene codifica per una proteina, seguendo una logica programmata e cioè non essendo condizionato da effetti di retroazione degli altri componenti della vita della cellula. Ciò che conta – ribadisce lo scienziato inglese – sono le informazioni contenute nel DNA che verranno trasmesse fedelmente al messaggero RNA che le tradurrà in proteina (Crick, 1970). Inquesto modello, la vita è l’assemblaggio di molecole prodotte punto a punto (un gene-una proteina), senza alcuna possibilità di retroagire sulle condizioni che l’hanno prodotta.
Dogma che negli stessi anni verrà definito, più laicamente, “uno dei principi fondamentali della biologia moderna” da Jacques Monod, altro premio Nobel per la medicina (assieme al collega François Jacob) proprio per le sue ricerche genetiche. Lo scienziato francese è lapidario. Nel suo best seller mondiale del
1970 Il caso e la necessità, tradotto istantaneamente in italiano e in molte altre lingue, scrive:«L’unico meccanismo possibile attraverso il quale la struttura e le prestazioni di una proteina potrebbero venire modificate e tali modificazioni trasmesse, anche parzialmente, alla discendenza, è quello che deriva da un’alterazione delle istruzioni contenute in un segmento del DNA. Non si può invece
concepire alcun meccanismo in grado di trasmettere al DNA una qualsiasi istruzione o informazione» (p. 103).6
Sono passati soltanto cinquant’anni e l’Epigenetica – trattata da Imbasciati al capitolo 21. Mente–Cervello: epigenetica e transgenerazionalità, può refutare la grande certezza – a tratti ideologica – di Francis Harry Compton Crick, scienziato britannico, premio Nobel per la medicina nel 1962. Una nuova epistemologia mente-corpo rivoluziona gli assunti che volevano ad esempio l’intelligenza sede nelle porzioni della corteccia, o quanto meno nelle
strutture specificamente dedicate nel cervello. Sicuramente sì, vi è dell’assoluto nella specificità organica di certe funzioni. Tuttavia nella vision epigenetica l’intelligenza – intesa come complesso di competenze e conoscenze – non ha sede nel cervello; non ha sede nella mente e neppure nel cuore; non risiede neppure nelle connessioni neurali e nella loro plasticità. È con buona probabilità una espressione del potenziale di tutte queste strutture di organizzarsi in un network multidimensionale (Bottaccioli), in cui trovano posto la citoarchitettonica, la modularità e la biochimica molecolare, tuttavia non senza che eleganti e complessi processi – afferenti all’Epigenetica – in massima parte impliciti, non ancora intercettati, governino l’espressione genica e dunque anche gli aspetti neuropsicologici del comportamento e della percezione del Sé. Naturalmente la potenzialità espressiva dei set genetici non riguarda soltanto la mente o soltanto il corpo; stabilisce e determina il rapporto mente-corpo, o forse è più giusto dire che lo descrive, ce ne offre un taglio, una lettura critica, fortemente influenzata dall’ambiente, dal set di stressor che l’essere umano conosce come la propria famiglia, lo scenario storico ed economico in cui vive, insomma tutte quelle condizioni cosiddette esterne di cui non vorrebbe far parte ma in cui si ritrova, per dirla con Heidegger, gettato obtorto collo. Ed è il ritrovato, futuribile e quasi vergognoso rapporto mente-corpo a rompere il passo sul fronte della nuova epistemologia, per il timore di infrangere gli equilibri del potere all’interno dell’establishment della scienza ideologica. Tuttavia non durerà a lungo, la Rivoluzione auspicata da Bottaccioli7 e preannunciata da Hofer, è appena cominciata. Hofer addirittura parla di trasmissione transgenerazionale del trauma8, raccogliendo sicuramente il consenso di un – forse non ancora ben definito – Lamarckismo di ritorno. Ne parla Marco Bacciagaluppi al capitolo 18. Biologia, evoluzione e psicoanalisi: la funzione ideologica del lamarckismo in Freud.
La psicologia credo debba sempre saper accogliere quelle istanze che a volte il paziente porta con sé non tanto in preda ad un fantasma relazionale, quanto talvolta in risposta ad un richiamo genetico, biologico e atavico che non è sempre ascrivibile ad una posizione analitica. Non si parla di tratti ereditari intesi in senso classico, bensì di meccanismi di retroazione genetica, epigenetici, che influenzano l’organizzazione del network, la risposta organica e l’epifenomenica comportamentale.
A proposito di dogmatismo, Luigi Longhin affronta diffusamente la spinosa questione dell’ideologia, alle parti: 1.Ideologia e utopia: qualità negative della mente, 2.Aspetto sociale della scienza: rapporti tra scienza e società, 8.La psicoanalisi può contenere un’ideologia?, 14. La violenza: patologia della mente emotiva giustificata con l’ideologia, 19. Il potere–dominio: forma patologica individuale e collettiva, 22. Mente emotiva: come proteggerla dall’ideologia.
La problematizzazione non nasce dalla complessità dei rapporti tra potere, politica e ideologia, quanto dalla matrice interpersonale delle strutture del Sé destinate a controllare i centri psicologici del potere. A questo proposito risulta originale l’apporto di Erich Fromm – notoriamente interpersonalista – proposto da Bacciagaluppi in due capitoli, 9. L’ideologia personale di Fromm e 10. Ideologia e psicoanalisi: alcune “scomuniche”.
Su che cosa sia “veramente” il potere, si aprono scenari che pretendono visioni radicalizzanti. La lettura interpersonalista offre un qualche salvacondotto, non senza infilarsi nella trappola dello psicologismo. Fu il filosofo illuminista Antoine-Louis-Claude Destutt de Tracy9 a coniare il termine ideologia con il significato che a questa parola viene attribuito nella concezione moderna. Il significato originario del termine ideologia creato da Destutt de Tracy nel 1796 nell’opera Mémoire sur la faculté de penser con il significato di un metodo del corretto ragionare, discorso razionale sulle idee, assunse con Napoleone – che non aveva più bisogno di atteggiarsi a sostenitore delle idee illuministe di questi ideologi, progressisti atei e razionalisti, delle quali si era servito agli inizi della sua carriera – un significato peggiorativo. Gli ideologués erano intellettuali che perseguivano ideali politici riformistici, laici e anti-autoritari; contrari al fanatismo e al dispotismo. Orientarono con grande anticipo sulla psicologia le loro ricerche sull’analisi dei fenomeni mentali e sensoriali per la fondazione di una gnoseologia sensista. Dal nostro punto di vista De Tracy fonda una teoria dell’ideologia che pone l’Uomo nella condizione di apprendere il ragionamento critico calandosi in un “mondo vissuto”, ed è questo a renderlo, di fatto, un ideologo umanista in grado di sovvertire ante litteram l’assunto epistemologico contestato alla filosofia da Zani al capitolo 12. È agli Elementi che si ascrive la sua definizione di ideologia come «scienza dell’origine e della formazione delle idee», in contrapposizione ai filosofi illuministi precedenti, i philosophes, per Destutt, autori di grandi teorie che apparivano dei romans, romanzi distaccati dalla realtà. Questo distacco segna il passo della visione bilaterale, la cui linea De Tracy tenta di superare. Partendo dalle teorie sensistiche radicali di Condillac per il quale non esistevano idee innate poiché esse avevano tutte origine dalla sensazione e che
sosteneva che tutte le facoltà umane erano riconducibili a forme di sensibilità e quindi alla fisiologia, Destutt de Tracy si sforzava di creare una scienza esatta della morale, della politica e dell’economia. Di fatto batteva la strada della psicologia, di quella che sarebbe stata una grande psicologia al servizio dell’Uomo. Destutt de Tracy si dedicò anche allo studio di problemi logico-linguistici convincendosi che dalle forme particolari dei vari linguaggi si potesse arrivare a degli elementi strutturali semplici che si ripetono costantemente e che possiamo utilizzare per la formazione di quelle idee che sono alla base della composizione dei segni linguistici. L’analisi del linguaggio, inteso non come costruzione artificiale, ma come organizzazione razionalmente ordinata è il fondamento della conoscenza scientifica. Occorre anche riaffermare il primato della questione antropologica, quando si tratta di strutture radicalmente inscritte nei nostri dispositivi psicosociali. Ci domandiamo con Vinicio Serino,10 a proposito di ideologia e utopia:
Ideologia, nel linguaggio della sociologia e della scienza politica, ha multiformi significati. Una delle interpretazioni più convincenti è quella offerta da Norberto Bobbio che ne propone una denominazione ‘debole’: ossia ideologia è il sistema di idee e di valori che guidano i comportamenti politici – ed aggiungerei anche sociali – di una collettività. Si tratta pertanto di una Idea – con la I maiuscola – che si è imposta e, quindi, attualizzata sulla quale, dunque, si fonda un ordine sociale. Bobbio definisce poi ‘forte’ il concetto di ideologia elaborato da Marx, per il quale, appunto, l’ideologia è una falsa credenza, una mistificazione, che “abbellisce”, col ricorso a valori “alti”, la vera essenza di ogni ordine sociale caratterizzato in realtà dal dominio di una classe sull’altra. Il riferimento è ovviamente alle ideologie ‘borghesi’ che propongono modelli di società apparentemente ispirate ai valori più alti quali la libertà, la giustizia sociale, la lotta all’oppressione mentre, nella realtà, mascherano la loro vera essenza : ossia il dominio di una classe, quella della borghesia produttrice, su di un’altra, quella del proletariato lavoratore.
Sintetizzando potremmo allora dire che la ideologia ‘debole’ rimanda ad un ordine che guida, effettivamente, una società, reale, attualizzata. Mentre l’ideologia ‘forte’ esprime un giudizio, una valutazione – starei per dire … ideologica – su società esistenti, ossia formate ed operanti.
Diversamente l’Utopia, parola inventata del XVI da Thomas More, rientra nella categoria degli ideali – e non , appunto, delle ideologie – designando un assetto sociale che non esiste nella realtà e che viene proposto come modello di cambiamento: proprio per questo More ha coniato la parola Utopia che, come è noto, significa “in nessun luogo”, ma che può trovare spazio nella mente umana … O forse no … Lascio allo psicologo, o alla psicologa, questo dubbio amletico.
Il concetto di ideologia va collegato a quello di potere: si tratta infatti di due categorie molto affini, soprattutto se si considera che il potere politico si sostanzia nel dominio esercitato da uomini su altri uomini e consiste essenzialmente nella sua natura di comando. La caratteristica connotante di questo dominio, che implica la possibilità di imporsi attraverso la forza, è data dalla sua esclusività. Il titolare di questa esclusività, e quindi del potere ad essa connessa è, nelle civiltà moderne lo stato. Potere è dunque, come ci ha insegnato M. Weber, “capacità di influenzare l’agire altrui” senza bisogno dell’uso della forza, “in modo tale che il comando” stesso “sia assunto come massima dell’agire” di chi né il destinatario. In buona sostanza quest’ultimo obbedisce spontaneamente perché trova conveniente farlo: ad esempio, paga le tasse perché sa che in cambio otterrà sicurezza, assistenza, previdenza dall’ordinamento, come nel caso di uno stato di tipo welfare che attua politiche di protezione verso i propri cittadini. Oppure obbedisce passivamente ad un ordinamento oppressivo ed illiberale – come una qualunque dittatura – per evitare l’irrogazione di condanne, sanzioni, punizioni. Nel primo caso l’obbedienza scaturisce da una convenienza socio-economica, nel secondo dalla paura. Va comunque detto che il confine non è così netto perché, ad esempio, in ogni regime dittatoriale vi è chi obbedisce al potere anche per convenienza socio- economica, come nel caso della vecchia “nomenclatura” sovietica. E, d’altra parta, negli ordinamenti welfare – così aperti e liberali – l’obbedienza al potere può discendere anche dal timore di sanzioni, come nel caso del pagamento di imposte ritenute ingiuste ed esose eppure egualmente onorate.
Infine il consenso, categoria socio-politica che ne richiama un’altra, la legittimità. Un parte rilevante della popolazione – di norma la maggioranza numerica – esprime il proprio consenso al potere, ossia obbedisce spontaneamente ai suoi comandi, perché lo riconosce legittimo, ovvero ragionevole rispetto ai propri interessi, bisogni, valori. Il consenso presenta diverse gradazioni, dalla adesione entusiastica (la più alta) alla passiva obbedienza (la più bassa), passando attraverso una gamma molto variegata di “risposte”. Ovviamente il consenso può essere indirizzato e persino manipolato con tecniche adeguate di cui la moderna comunicazione di massa è una delle più note ed evidenti11.
In questa novella etate12 dal colore strutturale-umanistico, saussuriano, la soggettività richiede di essere, e di essere nel tempo e nello spazio, forte di alcune certezze. La psicoanalisi può essere non tanto portatrice di logos, quanto un topos del rapporto mente-corpo; si può evincere dal ruolo di ossevatore, per partecipare a pieno titolo alla dinamica e alla dialettica non tra mente e corpo, che ontologicamente riconosciamo oggi essere un continuum, quanto tra quelle istanze scissorie che vorrebbero la menteragionamento e il corpo-emozione. Scegliere la parte dello spettatore porterebbe la fondazione analitica, tra le scienze, ad una posizione kafkiana di rinuncia a vivere…
come il Tonio Kröger di Thomas Mann. Kafka stesso avvertiva la «strana, misteriosa, forse pericolosa, forse redentrice consolazione dello scrivere», capiva che «osservare» significa «uscire dalla fila» e raggiungere una visione indipendente, con proprie leggi di sviluppo, «incalcolabile, gioconda, ascendente»; ma non riusciva – e in questo risiede la prova della sua umanità – a sproblematizzare la letteratura da tutti gli assilli e i pungoli che la realtà gli poneva e imponeva.13
Il mio sguardo migliore, mi sia concesso, è quello di studioso di psicologia dell’arte. E la psicologia dell’arte avrebbe chiesto agli autori che ruolo avessero la forma, il conflitto estetico e il rapporto con il mondo del sogno, dell’immagine, del suono, del movimento, in questa eversione epistemologica a favore di una psicoanalisi tutta improntata alle emozioni. In altre parole, per far fronte alla deriva ideologica denunciata da Longhin e Imbasciati, la psicoanalisi può finalmente dar prova, ai livelli epistemologici come nella prassi clinica, di un’etica dell’umanità, affinare gli strumenti di una clinica umanistica, perché non sia luogo di innesco di ideologia, o depotenziamento delle qualità negative della mente in cui questa alberga e si annida in un tema di Ombra.
Citando infine la curatrice Luciana La Stella, un “ritorno al mondo–della–vita come obiettivo obbligato per le scienze, alfine di non perdere il legame con le proprie origini”. Non senza il desiderio di Dio dell’Uomo contemporaneo.
PSICOANALISI, IDEOLOGIA ED EPISTEMOLOGIA
LA MENTE EMOTIVA NELLA SCIENZA E NELLE ISTITUZIONI POLITICHE E SOCIALI
Antonio Imbasciati, Luigi Longhin
a cura di Luciana La Stella
Aracne 2014
pp. 532
eur 19,00
_________________________________________________________________________
1«Colui che il gran commento feo» è l’appellativo con cui Dante Alighieri chiama Averroè nella Divina Commedia (Inferno, IV, 144).
In età ellenistica e successivamente medioevale, il termine commentario passò a designare anche un lungo ed erudito commento riguardante un’opera di particolare importanza, specialmente dell’antichità: esso consisteva quindi in un’interpretazione o esegesi dell’opera trattata per renderla accessibile ai contemporanei. Ad esempio il filosofo arabo Averroè compose un poderoso Commentario ai libri di Aristotele, che lo rese noto nell’Europa cristiana. Commentari sono anche chiamate le memorie dello scultore fiorentino Lorenzo Ghiberti, una delle fonti primarie più antiche sul Rinascimento. Si chiamano Commentari le memorie di papa Pio II.
*Docente di Psicologia dell’Arte e Coordinatrice della Formazione alla Scuola Quadriennale di Specializzazione Post Laurea in Psicoterapia Erich Fromm di Prato, riconosciuta dal MIUR.
ceo@polopsicodinamiche.com – www.polopsicodinamiche.com – www.scuoladipsicoterapiaerichfromm.it
2 in M. A. Toscano. Introduzione alla sociologia, Franco Angeli ed., 2006, pag.266.
3 Gustav Janouch in Colloqui con Kafka, p. 25.
4 Adriana Gloria Marigo, Luino-Padova. Poeta e critico letterario. Lettere con Irene Battaglini, 2014.
5 Massimo Recalcati, Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione. Raffaello Cortina, 2012.
6Francesco Bottaccioli, Epigenetica e Psiconeuroimmunoendocrinologia: Una Rivoluzione Che Integra Psicologia e Medicina. Psicoterapia e Scienze Umane, 4/2014.
7 Francesco Bottaccioli, Epigenetica e Psiconeuroimmunoendocrinologia: Una Rivoluzione Che Integra Psicologia e Medicina. Psicoterapia e Scienze Umane, 4/2014.
8 Psicoterapia e Scienze umane n. 3/2014.
9 Antoine-Louis-Claude Destutt de Tracy (Parigi, 20 luglio 1754 – Parigi, 9 marzo 1836) è stato un filosofo francese appartenente alla corrente filosofica di derivazione illuministica detta degli idéologues.
10 Giurista, Filosofo, Antropologo. È docente di Antropologia all’Università degli Studi di Siena, Scienze Matematiche.
11 Vinicio Serino, Lezioni di Criminologia, Scuola di Psicoterapia Erich Fromm, 2014.
12 “Donna pietosa e di novella etate”, Dante Alighieri, Canzone della Vita Nuova (XXIII 17-28). L’espressione vuole qui sottolineare la rinnovata apertura degli orizzonti epistemici allo strutturalismo, non tanto in contrasto al dominio della soggettività, quanto in relazione alla necessità di favorire la dialettica tra queste polarizzazioni, che hanno in passato dilaniato il dibattito psicoanalitico.
13 Remo Cantoni, Che cosa ha detto veramente Kafka; http://www.rodoni.ch/KAFKA/cantonikafka. htm