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I crimini violenti contro le donne: una lettura antropologica

a cura di Sara Ginanneschi 26 maggio 2015

CRIMINOLOGIA-26-27-giugno-2015-loc.-e-programma_Pagina_1-800x1035Il 26 ed il 27 GIUGNO 2015, il Polo Psicodinamiche di Prato ospiterà il CORSO DI CRIMINOLOGIA:
“I CRIMINI VIOLENTI CONTRO LE DONNE” a cura del Prof. Vinicio Serino.

Dalle culture pre-agricole dell’area mediterranea risalenti all’8000AC ai giorni d’oggi, sembra essere la struttura societaria e l’organizzazione dei ruoli sessuali a delineare una modalità in cui predomina la cura parentale, come salvaguardia di una specie, rispetto ad una in cui prevale l’aggressività e la violenza come forma di protezione del gruppo.
Le società primitive, ossia i primi aggregati di Sapiens sapiens, manifestavano una divisione dei compiti per il controllo degli spazi e l’acquisizione delle risorse indispensabili alla vita. Si trattava di “società acquisitive”, composte da popolazioni di cacciatori-raccoglitori “che traevano le risorse direttamente dall’ambiente, muovendosi sul territorio, senza praticare forme di agricoltura e di allevamento”, ma sfruttando, senza trasformarle, le risorse alimentari, animali o vegetali, rinvenute in natura (Godelier, 1977). In queste società le donne avevano prevalentemente compiti di  raccolta di vegetali o di piccoli animali e di cura parentale; gli uomini quelli della caccia, a prede che spesso, potevano diventare predatori. Sarebbe quindi un’etica naturale, un meccanismo biologico affinatosi per evoluzione naturale, ad incanalare ed orientare i comportamenti umani. Essa ha la vocazione della universalità in quanto agisce come una sorta di codice genetico innato che serve, in ogni gruppo sociale, a garantire la copertura dei tre bisogni primordiali: l’alimentazione, la sopravvivenza, la riproduzione della specie e funziona sulla base del principio della cooperazione specifica tra i membri del gruppo: senza il rispetto delle prescrizioni imposte da quel codice e quindi senza una attività cooperante di copertura di quei bisogni, quell’aggregato non potrebbe esistere.
L’etica naturale funziona allora come uno straordinario meccanismo attraverso il quale è possibile avviare e mantenere la cooperazione tra appartenenti allo stesso aggregato sociale. Ogni comportamento indirizzato ad ostacolare la soddisfazione, da parte dei cooperanti, dei bisogni primari è deviante perché crea le condizioni per dissoluzione del gruppo. Sono allora ipotizzabili, in questa prospettiva, delitti naturali, come quelli che impediscono, dice Chiarelli, la perpetuazione “del DNA tipico della specie e la sua variabilità infraspecifica”. Il mancato esercizio della cura parentale; l’inadempimento del dovere di riproduzione; la mancanza di cooperazione nella acquisizione del cibo e nella difesa del gruppo comporterebbero inevitabilmente la fine dell’intero aggregato sociale.
È in queste ancestrali forme di aggregazione, con la conseguente assegnazione dei ruoli, che vanno ricercate le basi stesse della preminenza e talvolta del dominio dell’uomo sulla donna. Una vera e propria gerarchizzazione dei rapporti che comporta la valorizzazione dei compiti affidati ai maschi: in particolare sullo “scarto tecnologico tra uomini e donne”, avendo i primi “il monopolio degli strumenti-armi, della lavorazione delle materie prime; gli uomini hanno il controllo dei mezzi-chiave di produzione (attrezzi, tecniche, terra, capitali, manodopera) e di quelli di difesa e di violenza, da cui deriva il dominio dell’organizzazione simbolica e politica” (Mathieu, 2006). E quindi la subordinazione della donna, entro la quale possono manifestarsi le più diverse forme di violenza.
L’ipotesi antropologica si pone quindi l’obiettivo di ricostruire storicamente il motivo per cui il fenomeno della violenza alle donne nasce, esattamente come lo psicoanalista utilizza la storia di vita del suo paziente per capire il problema che lo affligge oggi.
Il Prof. Serino affronterà un excursus storico per spiegare come tutte le società hanno sempre assegnato ai due sessi due funzioni diverse nel corpo sociale: la riproduzione ed il lavoro (Mathieu, voce sesso in Izard e Bonte, 2006), fino ad arrivare ai giorni d’oggi, alla subordinazione della donna rispetto all’uomo, alla rivoluzione sessuale ed al femminismo, fino alla storia odierna ed agli aspetti morali e giuridici della violenza nel 2015.

FEMMINICIDIO:PERSECUZIONE O VIOLENZA? TERZA ED ULTIMA PARTE

violenza-donne

di Emanuele Mascolo

III parte

11 dicembre 2013

violenza-donne

C’è voluto un termine straniero per arrivare a perseguire in Italia il femminicidio, non bastava il termine PERSECUZIONE? …

È questo un passaggio di una rappresentazione teatrale alla quale ho assistito il 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

Passaggio che mi ha molto colpito e che credo sia utile per riflettere: si parlava di Santa, una ragazza di Palo del Colle (BA) di soli 23 anni la quale verrà colpita mortalmente dal un giovane sotto il portone di casa.

Spesso quando si parla di violenza sulle donne, si parla di violenza di genere, nella cui definizione, rientra anche la violenza contro un minore, ugualmente e in vario genere oggi diffusa, purtroppo.

Tale tipo di violenza, pone l’accento sull’approccio, tassativamente sessuale della violenza, il voler predominare dell’ uomo sulla donna, usandole violenza fisica e atrocemente morale perché tenta di annullare la figura femminile.

La violenza sulle donne è stata definita già nel 1933, come  “qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata.”[1]

Nella violenza di genere può certamente farsi rientrare la violenza domestica (abusi sessuali,delitti di onore, uxoricidi – di cui nell’ordine ci occuperemo a seguire – ) spesso commessi all’interno del nucleo familiare da parenti e, in altri casi, da conoscenti.

Rientra certamente nelle violenze di genere il femminicidio che nel modo più semplice possibile in questa rubrica abbiamo cercato di riportare all’attenzione dei lettori evidenziando anche alcuni aspetti storico – giurisprudenziali.

Articoli correlati: Prima Parte, Seconda Parte, Conferenza: La violenza nella relazione di coppia

 [1]  Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, art.1.

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Il FEMMINICIDIO. Excursus storico, giuridico e dottrinale.

FEMMINICIDIOdi Emanuele Mascolo

2 novembre 2013

 I PARTE

Da più parte si sente parlare in quest’ultimo periodo, della legge recentemente varata in Italia, riguardo il femminicidio.

La nuova legge, come si evince dal testo pubblicato in G.U. n. 191/2013, è stato emanato in quanto si è “ritenuto che il susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne e il conseguente allarme sociale che ne è derivato rendono necessari interventi urgenti volti a inasprire, per finalità dissuasive, il trattamento punitivo degli autori di tali fatti, introducendo, in determinati casi, misure di prevenzione finalizzate alla anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica; considerato, altresì, necessario affiancare con urgenza ai predetti interventi misure di carattere preventivo da realizzare mediante la predisposizione di un piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, che contenga azioni strutturate e condivise, in ambito sociale, educativo, formativo e informativo per garantire una maggiore e piena tutela alle vittime; ravvisata la necessità di intervenire con ulteriori misure urgenti per alimentare il circuito virtuoso tra sicurezza, legalità e sviluppo a sostegno del tessuto economico-produttivo, nonchè per sostenere adeguati livelli di efficienza del comparto sicurezza e difesa; ravvisata, altresì, la necessià di introdurre disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica a tutela di attivita’ di particolare rilievo strategico, nonchè per garantire soggetti deboli, quali anziani e minori, e in particolare questi ultimi per quanto attiene all’accesso agli strumenti informatici e telematici, in modo che ne possano usufruire in condizione di maggiore sicurezza e senza pregiudizio della loro integrità psico-fisica“.

Ma prima di analizzare il testo, cerchiamo di fare un excursus Giurisprudenziale e Dottrinale sul femminicidio in Italia.

Il termine femminicidio, innanzitutto indica tutti quei casi di omicidio, in cui un uomo, per vari motivi, uccide una donna. Di solito i soggetti sono in relazione affettiva tra loro (moglie/marito o rapporto extra coniugale) e val la pena rimarcare come il femminicidio sia un fenomeno sociale. In quanto  fenomeno di rilevanza globale, infatti, il termine indica, in generale, una violenza fatta ad una donna in quanto tale, ma è altresì vero che non in tutti i casi di donne uccise, si può parlare di femminicidio.

Non è facile risalire alle sue origini in Italia, poichè  a livello istituzionale i dati non vengono raccolti con sistematicità e se è possibile rinvenire qualche dato positivo, il merito è dei centri antiviolenza, costituiti solo dal 2005.

Se consideriamo la Giurisprudenza internazionale, nel 2009 è stato riconosciuto come crimine di Stato dalla Corte Interamericana.

In quello stesso anno, in Italia si muovono alcune riforme al codice penale circa le violenze in genere, ma sulle stesse è intervenuta la Corte Costituzionale con Sentenza n. 265/2010 dichiarandone l’illegittimità costituzionale ex artt. 3, 13, co.1, 27, co.2, della Costituzione, poichè, secondo la Corte,”la disposizione oggetto di scrutinio trova collocazione nell’ambito della disciplina codicistica delle misure cautelari personali, in particolare di quelle coercitive (artt. 272-286-bis), tutte consistenti nella privazione – in varie qualità, modalità e tempi – della libertà personale dell’indagato o dell’imputato durante il procedimento e prima comunque del giudizio definitivo sulla sua responsabilità. In ragione di questi caratteri, i limiti di legittimità costituzionale di dette misure, a fronte del principio di inviolabilità della libertà personale (art. 13, primo comma, Cost.), sono espressi – oltre che dalla riserva di legge, che esige la tipizzazione dei casi e dei modi, nonché dei tempi di limitazione di tale libertà, e dalla riserva di giurisdizione, che esige sempre un atto motivato del giudice (art. 13, secondo e quinto comma, Cost.) – anche e soprattutto, per quanto qui rileva, dalla presunzione di non colpevolezza (art. 27, secondo comma, Cost.), in forza della quale l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. L’antinomia tra tale presunzione e l’espressa previsione, da parte della stessa Carta costituzionale, di una detenzione ante iudicium (art. 13, quinto comma) è, in effetti, solo apparente: giacché è proprio la prima a segnare, in negativo, i confini di ammissibilità della seconda. Affinché le restrizioni della libertà personale dell’indagato o imputato nel corso del procedimento siano compatibili con la presunzione di non colpevolezza è necessario che esse assumano connotazioni nitidamente differenziate da quelle della pena, irrogabile solo dopo l’accertamento definitivo della responsabilità: e ciò, ancorché si tratti di misure – nella loro specie più gravi – ad essa corrispondenti sul piano del contenuto afflittivo. Il principio enunciato dall’art. 27, secondo comma, Cost. rappresenta, in altre parole, uno sbarramento insuperabile ad ogni ipotesi di assimilazione della coercizione processuale penale alla coercizione propria del diritto penale sostanziale, malgrado gli elementi che le accomunano.

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