di Andrea Galgano 15 giugno 2023
Leggere la poesia di Maria Rosaria Macchia è un’esperienza di trasparenza. Scorrendo il suo primo libro di poesia, Giro di cuore, appena edito da Laurita Edizioni, a cura di Gianfranco Blasi, la chiarità rappresenta non solo una caratteristica di sguardo ma una radice epistemologica che diviene origine vitale, battesimo e genesi d’amore.
Gianfranco Blasi, nella prefazione, scrive: «Nelle poesie d’amore la vita assume un senso, un significato solo se può dimostrare affetto e passione. Se può stornare sentimenti vitali. È l’amore a rendere la vita vera. Maria Rosaria Macchia […] osserva e fotografa. Eppure abbiamo in comune un’idea romantica dell’amore. Lei con più pudore e un pizzico di candore che la rende così trasparente da plasmare una poetica che sublima le sensazioni, ispira le pulsioni del cuore fino a offrire un autentico abbraccio al mondo. Non c’è ingenuità nel suo approccio alla sorgente delle parole. C’è verità, totale e pura libertà di esprimersi».
Questi due epicentri rispecchiano la forza della sua poesia che si presenta come essenziale, basica nella struttura ma che porge una limpidezza percettiva, una tensione mai oscura e un desiderio che entrano nel territorio della visione, portando all’estremo le domande elementari, che quando toccano la luce non si discostano e non si ritraggono ma vivono libere e sperdute. L’essenziale non è solo invisibile agli occhi. Per il poeta è così ma non solo. Perché egli cerca i segni dell’essere, i dati della realtà, la vertigine cromata del dolore e il lungo magma della gioia. A partire già da quel che si vede e poi, oltre, fino alle segrete trame dell’invisibile. Qui Maria Rosaria Macchia dispone i suoi segni, lambendo lo spazio elementare delle cose attraverso lo stupore, la bellezza e la polita nitidezza degli occhi di aurora.
Pertanto, entra nella fioritura delle cose, non sminuendone la grazia e non ponendo l’autoreferenzialità egoica di certa poesia contemporanea, bensì come dono all’altro, affermato e amato, proprio nel suo essere. Unendo, così, colore e aria insieme: «Rosso / Come le ciliegie di giugno. / Il fuoco, la rosa. / Passione e timidezza. / Come il cuore, il sole. / Alba e tramonto. / Come un bacio / di papaveri / nel blu».
La poesia annota sulla pelle luce d’azzurro che impara dal cielo («Ho imparato dal cielo. / Tutto passa, / come le nuvole / sull’azzurro»), appunta i movimenti del cuore caldo e pulsante e il silenzio che anticipa ciò che sboccia.
La dolcezza dell’istante diviene scarto elementare e apparizione del reale. Pertanto, entrare nelle aperture del cuore è come mappare, sorvolare e lasciarsi stupire: «La tela d’oro / dell’estate / si arrotola / sulle notti profumate / di mare e gelsomino. / Ora / tra le brume / un sole delicato / si accende / e fa promesse».
Questo cortocircuito di sensi avviene sia attraverso la rievocazione e sia grazie a una poesia che sembra un biglietto di memorie e non di distanze. Essa insegue il destino dell’amore, divenendo coscienza e presenza delle cose.
In tale apertura vi è tutta la pulizia della parola in movimento, la semina lessicale, il cuore e le sue insidie, che riesce a riportare la sua terra alla sua genesi primaria, all’asciutta esattezza di ciò che è e, infine, all’indocile brevità di chi si mette al servizio della realtà, per farla risplendere in una densità infinita.