di Emanuele Mascolo, con la collaborazione di Maria Giovanna Bloise
II parte
18 novembre 2013
In questo articolo, che segue a quello precedente, vi proponiamo il commento di una donna sul tema: a parlarcene è la dott.ssa Maria Giovanna Bloise.
Parlando con alcuni uomini, ho potuto notare come il termine “femminicidio” sia ritenuto immotivato e come riguardo all’introduzione del termine ci siano delle resistenze, nel senso che viene intesa una forzatura voler distinguere tra il delitto ed il delitto in base al sesso della vittima. Non si tratta solo di una parola in più ma di una sostanziale evoluzione culturale e giuridica. La violenza nega alle donne i più fondamentali diritti: la vita, la libertà, l’integrità corporea, la libertà di movimento e la dignità della persona. Essa è un fenomeno radicato, strutturale in una società che pone uomini e donne in una relazione di disparità, di subalternità, di dominio.
Quando il femminicidio (che comprende una molteplicità di forme di violenza che vanno dalla violenza fisica, sessuale, psicologica, economica, sociale, destinata ad annientare la soggettività della donna) precede il femmicidio o femicidio (termine derivante dall’inglese femmicide, che sta ad indicare la morte di una donna con movente di genere ed è la forma più estrema di violenza contro le donne) siamo in presenza di una vera e propria forma di violenza di genere e su un genere. Negli anni novanta si specifica che “l’uccisore è un uomo e il motivo per cui la donna viene uccisa è il fatto di essere donna”.
Nel duemila si specifica, poi, che questa forma di violenza viene perpetrata anche da adolescenti nei confronti di ragazze e bambine, per cui, nella formulazione appena citata, si sostituiscono a uomo e donna i termini femmina e maschio. Ogni tre giorni viene uccisa una donna. Ma il massacro può essere fermato. Tale fenomeno affonda le sue radici in un’impostazione culturale del nostro Paese: è la cultura patriarcale improntata sul possesso che porta alla morte le donne per il solo fatto di essere donne. Spesso stalking e violenze portano ad un reato più grave. Sovente le vittime non sporgono denuncia-querela a seguito delle violenze subite per una serie di motivi che vanno dalla vergogna, al senso di colpa, al timore di un’escalation della violenza e di ripercussioni. E’ necessario prestare estrema attenzione a questo fenomeno sociale e la donna va maggiormente assistita.
Anche l’uomo va aiutato, perché se è stato violento una volta, lo sarà ancora. La donna va educata sin da piccola a non sopportare e a ribellarsi e deve essere tutelata maggiormente. C’è bisogno di un generale sforzo educativo e culturale che coinvolga la famiglia, la scuola e tutta la società, eliminando così la paura vissuta da molte vittime di parlare e chiedere aiuto nel timore di sentirsi giudicare e sole.
E’ fondamentale anche programmare risposte ed interventi mirati alla prevenzione, così da bloccare la violenza sin dal suo nascere, muovendo a livello di percezione sui ragazzi, sui bambini, insegnando loro il rispetto, la capacità di riconoscere le emozioni, anche negative, ed imparando a gestirle anziché agirle sugli altri. Occorre diffondere tra i giovani il messaggio che la donna non è un oggetto da modellare o da possedere e che il rapporto sentimentale si basa sul rispetto reciproco, sull’autonomia e libera scelta dell’altro. Dunque, oltre a strumenti di tipo pratico, occorrono sempre più interventi culturali che possano abbattere stereotipi di questa forma. Quando la violenza sulle donne ha le chiavi di casa, non bastano modifiche al codice penale o di carattere processuale: la donna va anche aiutata economicamente. Adesso c’è la crisi economica, la mancanza di lavoro che determina una profonda crisi e la donna per amore dei propri figli cederebbe a qualsiasi sopruso.