di Emanuele Mascolo
26 marzo 2014
Commette stalking, sostanzialmente, il condomino che pone in essere reiteratamente, condotte minacciose o moleste nei confronti di altri condomini.
Quando un Pubblico Ministero è investito di indagare su tali vicende può chiedere al Giudice Per le Indagini Preliminari, ( G.I.P.) l’applicazione della misura dell’allontanamento del soggetto, dal luogo in cui compie questi atti, al fine di evitarne la reiterazione.
Tale misura è il divieto di dimora, disposo dall’articolo 283 del codice di procedura penale, secondo cui: “ con il provvedimento che dispone il divieto di dimora, il giudice prescrive all’imputato di non dimorare in un determinato luogo e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede.
Con il provvedimento che dispone l’obbligo di dimora, il giudice prescrive all’imputato di non allontanarsi, senza l’autorizzazione del giudice che procede, dal territorio del Comune di dimora abituale ovvero, al fine di assicurare un più efficace controllo o quando il comune di dimora abituale non è sede di ufficio di polizia, dal territorio di una frazione del predetto comune o dal territorio di un comune viciniore ovvero di una frazione di quest’ultimo.
Se per la personalità del soggetto o per le condizioni ambientali la permanenza in tali luoghi non garantisce adeguatamente le esigenze cautelari previste dall’art. 274, l’obbligo di dimora può essere disposto nel territorio di un altro comune o frazione di esso, preferibilmente nella provincia e comunque nell’ambito della regione ove ubicato il comune di abituale dimora.
Esaminiamo, nello specifico, l’Ordinanza del G.I.P. di Padova del 15 febbraio 2013, numero 1222 che ha accertato come, appena un condomino prese possesso dell’immobile nel condominio in questione, gli altri condomini hanno esporto denunce per vari minacce ed insulti, fino al punto di dover cambiare le abitudini all’interno delle proprie abitazioni, “alterandole”, costretti a cambiare i percorsi per rientrare nelle proprie abitazioni, “verificando ogni volta, prima di uscire di casa, che non fosse presente nelle parti comuni dell’edificio, anticipando l’orario in cui andavano a letto al fine di guadagnare ore di sonno, nel timore di essere svegliati dalle molestie”[1], dovendo ricorrere a cure mediche ed alcuni condomini hanno palesato l’idea di vendere il proprio appartamento.
Si legge nella suddetta Ordinanza che, “le condotte persecutorie hanno assunto le caratteristiche di quelle astrattamente previste dall’art. 612 bis c.p. dopo una prima serie di condotte qualificabili come mere azioni di molestia o disturbo, integranti la contravvenzione di cui all’art. 660 c.p.
Il fatto che l’indagato abbia volontariamente proseguito nella propria sistematica azione di molestia e disturbo, nonostante le numerose lamentele dei condomini e nonostante l’arrivo in almeno due occasioni dei Carabinieri, chiamati dai vicini di casa, in piena notte, perché estenuati dai disturbi e dalle molestie, dimostra che le condotte in questione costituiscono il frutto di un disegno complessivo perseguito dall’indagato, volto ad impedire qualsiasi reazione e ad imporre il proprio “stile” di vita.
Per chi tenta di opporsi, infatti, scatta la reazione minacciosa, diretta a questo o quel condomino, a
volte a tutti indistintamente, comunque sempre con urla tali da farsi ben sentire da tutti: l’indagato
minaccia espressamente di morte i vicini di casa e prospetta loro che “li farà morire”, esternando, con assoluta sfrontatezza, il proprio programma criminoso, volto a intimidire e creare un clima di ansia e di paura, all’interno dell’edificio, nelle persone che vi abitano.”[2]
L’allontanamento del condomino stalker, si è reso necessario, secondo il G.I.P., “ per interrompere l’attività delittuosa che si protrae da mesi, nei confronti di tutti i condomini, senza che l’indagato abbia dato alcun segno di resipiscenza.
Non emergono cause di non punibilità e non è possibile ipotizzare la concessione di benefici in caso di condanna, trattandosi di trattasi di recidivo reiterato specifico, condannato per reati contro la persona, commessi anche mediante violenza, quali circonvenzione di persona incapace, minaccia, lesioni personali, resistenza.
La misura richiesta dal P.M. è la meno afflittiva, tra quelle che possono scongiurare il concreto rischio di reiterazione di reati della stessa specie o di commissione di delitti anche più gravi.”[3]
L’Ordinanza in oggetto ha disposto, il divieto per lo stalker dai “ luoghi costituiti dalla abitazione e dai rispettivi luoghi di studio e/o lavoro, con divieto assoluto di comunicazione, incontro e avvicinamento alle persone offese e ai componenti dei rispettivi nuclei familiari, prescrivendogli di mantenere una distanza di almeno 500 metri dai luoghi frequentati dai denuncianti e vietando al predetto di comunicare con qualsiasi mezzo, in particolare telefono, SMS o e-mail con le persone sopra indicate.”[4]
[1] Trib. Padova, Ordinanza G.I.P., 15 febbraio 2013, n. 1222.
[2] Trib. Padova, cit.
[3] Trib. Padova, cit.
[4] Trib. Padova, cit.
ATTI PERSECUTORI VERSO PIù CONDOMINI
11 aprile 2014
“Si pensi al caso di colui che minacci d’abitudine qualsiasi persona attenda ogni mattino nei luogo solito un mezzo di trasporto per recarsi al lavoro.
La minaccia in tal caso assorbe bensì la molestia nei confronti della persona cui è rivolta, ma non la molestia arrecata alle altre persone presenti.
Perciò può essere decisivo ai fini dell’art. 612 bis, che in diversa occasione altra persona, già molestata, sia oggetto diretto di nuova molestia da parte dell’agente.
E’ dunque ineludibile l’implicazione che l’offesa arrecata ad una persona per la sua appartenenza ad un genere turbi per sè ogni altra che faccia parte dello stesso genere.
E se la condotta è reiterata indiscriminatamente contro talaltra, perchè vive nello stesso luogo privato, sì da esserne per questa ragione occasionale destinataria come la precedente persona minacciata o molestata, il fatto genera all’evidenza il turbamento di entrambe.”1
Èquanto ha stabilito la Corte di cassazione Penale, n. 20895/2011, ritenendo che, “proprio la relativa consapevolezza può accrescere il turbamento di coloro che si attendono da tele persona un ingiusto male.”2
Ritiene ancora la Corte di cassazione che, “la violenza privata anzitutto può essere commessa con atti per sè violenti ed è poi soprattutto finalizzata a costringere la persona offesa a fare, non fare, tollerare o omettere qualche cosa, cioè ad obbligarla ad uno specifico comportamento.
La previsione dell’art. 610 c.p. perciò non genera solo il turbamento emotivo occasionale dell’offeso per il riferimento ad un male futuro, ma esclude la sua stessa volontà in atto di determinarsi nella propria attività, d’onde il quid pluris di cui all’art. 610 c.p..”3
Reato abituale, venne “individuato nella ripetuta commissione di un determinato fatto, rettamente intesa quale « azione diretta sempre contro lo stesso bene giuridico e produttiva di un evento identico, sorretta, sotto il profilo psicologico, dalla medesima « direzione della volontà.”4
La Sentenza che stiamo commentando, al contrario di quanto stabilì per lo stesso caso la Corte di Appello di Torino, che ritenne di ” integrare il delitto di atti persecutori « le condotte dell’imputato offensive delle persone di sesso femminile abitanti nello stesso stabile », a prescindere dalla concreta reiterazione delle condotte in danno di ciascuna di esse.”
Infatti, per la Cassazione, “la natura di reato di sbarramento della disposizione di cui all’art. 660 c.p. consentirebbe d’intendere che la lettera “minaccia o molesta taluno” non implica che ogni atto costitutivo della condotta criminosa dell’articolo 612- bis debba avere ad oggetto la stessa persona.” Tale ragionamento a cui giunge la Corte, però, parrebbe trascurare alcuni importanti elementi della fattispecie, in particolare sul significato del termine « molestie », affatto differenti, per contenuto ed ambito applicativo, dall’omonima fattispecie di cui all’art. 660.
Parte della dottrina ritiene che “il delitto di atti persecutori integrerebbe un delitto abituale proprio, a forma libera, dotato di propria tipologia obiettiva, e non mera risultante di un procedimento di unificazione legale. Lo stesso evento di danno della modifica delle « abitudini » di vita dell’offeso, ancora, sembra plastica espressione della offesa tipica, frutto delle ripetute violazioni patite dalla vittima e, segnatamente, dello stato di persistente e grave timore/terrore ingenerato dallo stalker. È stato autorevolmente evidenziato, in tal senso, che « l’attacco ripetuto allo stesso interesse (da guardarsi in concreto), realizzato con persistente frequenza, genera una realtà autonoma e diversa rispetto alla lesione isolata e occasionale che, se dal lato « denota la proclività dell’agente, sul piano oggettivo evidenzia la lesione di un interesse nuovo, che nel realizzarsi di quei fattori si enuclea e si concretizza.”5
1 Cass. Pen.,Sez. V, n. 20895 del 07.04.2011, in Diritto & Giustizia, 2011.
2 Cass. Pen., op.cit..
3 Cass. Pen., op.cit..
4 G. Cocco., Unità e pluralità di reati, in Cocco (a cura di), Manuale di diritto penale. Parte generale, I/2, Il reato, Padova, 2012, 53 e ss.
5 Tra gli altri – Bongiorno, intervento conclusivo sul d.d.l. C 1440; Petrone, Reato abituale, Padova, 1999.
Staking in condominio. L’inquilina non tollerava nessun rumore notturno tantomeno lo sciacquone del bagno azionato malamente. Ultima parte. 23 maggio 2014
Si può dire che è uno dei recenti casi di stalking quello che vi narriamo e che abbiamo trovato tramite ricerche su internet.
L’articolo pubblicato su Milano.repubblica.it[1] risale al 05 aprile 2014 e narra un fatto di cronaca avvenuto a Milano in un condominio e dal quale si apprende che una condomina è stata rinviata a giudizio per una serie di reati come “ ingiurie, minacce e perfino lesioni.”
Il tutto “ perché la vicina intransigente, visto il perseverare del mancato rispetto dello sciacquone, sarebbe passata alle vie di fatto.”[2]
La condomina in questione infatti aveva attuato e pretendeva il rispetto di regole determinate in assoluta autonomia.