2 novembre 2013
I PARTE
Da più parte si sente parlare in quest’ultimo periodo, della legge recentemente varata in Italia, riguardo il femminicidio.
La nuova legge, come si evince dal testo pubblicato in G.U. n. 191/2013, è stato emanato in quanto si è “ritenuto che il susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne e il conseguente allarme sociale che ne è derivato rendono necessari interventi urgenti volti a inasprire, per finalità dissuasive, il trattamento punitivo degli autori di tali fatti, introducendo, in determinati casi, misure di prevenzione finalizzate alla anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica; considerato, altresì, necessario affiancare con urgenza ai predetti interventi misure di carattere preventivo da realizzare mediante la predisposizione di un piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, che contenga azioni strutturate e condivise, in ambito sociale, educativo, formativo e informativo per garantire una maggiore e piena tutela alle vittime; ravvisata la necessità di intervenire con ulteriori misure urgenti per alimentare il circuito virtuoso tra sicurezza, legalità e sviluppo a sostegno del tessuto economico-produttivo, nonchè per sostenere adeguati livelli di efficienza del comparto sicurezza e difesa; ravvisata, altresì, la necessià di introdurre disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica a tutela di attivita’ di particolare rilievo strategico, nonchè per garantire soggetti deboli, quali anziani e minori, e in particolare questi ultimi per quanto attiene all’accesso agli strumenti informatici e telematici, in modo che ne possano usufruire in condizione di maggiore sicurezza e senza pregiudizio della loro integrità psico-fisica“.
Ma prima di analizzare il testo, cerchiamo di fare un excursus Giurisprudenziale e Dottrinale sul femminicidio in Italia.
Il termine femminicidio, innanzitutto indica tutti quei casi di omicidio, in cui un uomo, per vari motivi, uccide una donna. Di solito i soggetti sono in relazione affettiva tra loro (moglie/marito o rapporto extra coniugale) e val la pena rimarcare come il femminicidio sia un fenomeno sociale. In quanto fenomeno di rilevanza globale, infatti, il termine indica, in generale, una violenza fatta ad una donna in quanto tale, ma è altresì vero che non in tutti i casi di donne uccise, si può parlare di femminicidio.
Non è facile risalire alle sue origini in Italia, poichè a livello istituzionale i dati non vengono raccolti con sistematicità e se è possibile rinvenire qualche dato positivo, il merito è dei centri antiviolenza, costituiti solo dal 2005.
Se consideriamo la Giurisprudenza internazionale, nel 2009 è stato riconosciuto come crimine di Stato dalla Corte Interamericana.
In quello stesso anno, in Italia si muovono alcune riforme al codice penale circa le violenze in genere, ma sulle stesse è intervenuta la Corte Costituzionale con Sentenza n. 265/2010 dichiarandone l’illegittimità costituzionale ex artt. 3, 13, co.1, 27, co.2, della Costituzione, poichè, secondo la Corte,”la disposizione oggetto di scrutinio trova collocazione nell’ambito della disciplina codicistica delle misure cautelari personali, in particolare di quelle coercitive (artt. 272-286-bis), tutte consistenti nella privazione – in varie qualità, modalità e tempi – della libertà personale dell’indagato o dell’imputato durante il procedimento e prima comunque del giudizio definitivo sulla sua responsabilità. In ragione di questi caratteri, i limiti di legittimità costituzionale di dette misure, a fronte del principio di inviolabilità della libertà personale (art. 13, primo comma, Cost.), sono espressi – oltre che dalla riserva di legge, che esige la tipizzazione dei casi e dei modi, nonché dei tempi di limitazione di tale libertà, e dalla riserva di giurisdizione, che esige sempre un atto motivato del giudice (art. 13, secondo e quinto comma, Cost.) – anche e soprattutto, per quanto qui rileva, dalla presunzione di non colpevolezza (art. 27, secondo comma, Cost.), in forza della quale l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. L’antinomia tra tale presunzione e l’espressa previsione, da parte della stessa Carta costituzionale, di una detenzione ante iudicium (art. 13, quinto comma) è, in effetti, solo apparente: giacché è proprio la prima a segnare, in negativo, i confini di ammissibilità della seconda. Affinché le restrizioni della libertà personale dell’indagato o imputato nel corso del procedimento siano compatibili con la presunzione di non colpevolezza è necessario che esse assumano connotazioni nitidamente differenziate da quelle della pena, irrogabile solo dopo l’accertamento definitivo della responsabilità: e ciò, ancorché si tratti di misure – nella loro specie più gravi – ad essa corrispondenti sul piano del contenuto afflittivo. Il principio enunciato dall’art. 27, secondo comma, Cost. rappresenta, in altre parole, uno sbarramento insuperabile ad ogni ipotesi di assimilazione della coercizione processuale penale alla coercizione propria del diritto penale sostanziale, malgrado gli elementi che le accomunano.