A cura di Emanuele Emma ed Emanuela Falco.
Introduzione
Safiya Sinclair è nata e cresciuta a Montego Bay in Giamaica.
È autrice del memoir How to Say Babylon e della raccolta di poesie Cannibal, selezionata come uno degli “American Library Association’s Notable Books of the Year”.
E’ stata finalista per il “PEN Center USA Literary Award”, oltre ad essere candidata per il “PEN Open Book Award” e il “Dylan Thomas Prize”.
Le sue opere sono apparse in riviste e giornali come: The New Yorker, Granta, The Nation, Poetry, Kenyon Review, the Oxford American.
Ha ricevuto il suo “MFA” in poesia presso l’Università della Virginia e il suo dottorato in letteratura e scrittura creativa presso la University of Southern California.
Attualmente è professoressa di scrittura creativa presso l’Arizona State University.
Autobiography
When I was a child
I counted the looper moths
caught in the dusty mesh
of our window screens.
Fed them slowly into the hot mouth
of a kerosene lamp, then watched
them pop and blacken soundlessly,
but could not look away.
I had known what it was to be nothing.
Bore the shamed blood-letter of my sex
like a banishment; wore the bruisemark
of my father’s hands to school in silence.
And here I am, still at the old window
dying of thirst, watching my girlself asleep
with the candle flame alive in my ear,
little sister yelling fire!
Autobiografia
Quando ero bambina
Contavo le falene di looper
intrappolate nella rete polverosa
delle nostre zanzariere.
Le nutrivo lentamente nella bocca calda
di una lampada a cherosene, poi le guardavo
scoppiare ed annerire silenziosamente,
non potevo distogliere lo sguardo.
Avevo scoperto cosa significasse essere niente.
Sopportavo la disonorevole e maledetta lettera del mio sesso
come una punizione; indossavo i lividi
delle mani di mio padre a scuola in silenzio.
Ed eccomi qua, ancora alla vecchia finestra
morendo di sete, a guardare la me bambina addormentata
con la fiamma della candela accesa nel mio orecchio,
la sorellina urla fuoco!
Good Hair
Sister, there was nothing left for us.
Down here, this cast-off hour, we listened
but heard no voices in the shells. No beauty.
Our lives already tangled in the violence of our hair,
we learned to feel unwanted in the sea’s blue gaze,
knowing even the blond lichen was considered lovely.
Not us, who combed and tamed ourselves at dawn,
cursing every brute animal in its windy mane—
God forbid all that good hair being grown to waste.
Barber, I can say a true thing or I can say nothing;
meet you in the canerows with my crooked English,
coins with strange faces stamped deep inside my palm,
ask to be remodeled with castaway hair, or dragged
by my scalp through your hot comb. The mirror takes
and the mirror takes. I’ve waded there and waited in vanity;
paid the toll to watch my wayward roots foam white,
drugstore formaldehyde burning through my skin.
For good hair I’d do anything. Pay the price of dignity,
send virgins in India to daily harvest; their miles
of glittering hair sold for thousands in the street.
Still we come to them yearly with our copper coins,
whole nights spent on our knees, our prayers whispered
ear to ear, hoping to wake with soft unfurling curls,
black waves parting strands of honey.
But how were we to know our poverty?
That our mother’s good genes would only come to weeds,
that I would squander all her mulatta luck.
This nigger-hair my biggest malady.
So thick it holds a pencil up.
Bei Capelli
Sorella, non c’era più niente per noi.
Quaggiù, intrecciando i ferri, ascoltavamo le conchiglie
ma non sentivamo niente. Niente di bello.
Le nostre vite da sempre aggrovigliate nella violenza dei nostri capelli,
abbiamo imparato a sentirci indesiderate nello sguardo blu del mare,
sapendo che persino il lichene biondo venisse considerato bello.
Non noi, che ci pettinavamo e contenevamo all’alba,
maledicendo ogni bruto animale che avesse una criniera ventosa –
Dio ha proibito che tutti quei capelli meravigliosi crescessero per andar perduti.
Parrucchiere, posso dire la verità o stare in silenzio;
ci incontriamo nelle treccine del mio inglese imperfetto,
monete con strani volti stampati nel profondo del mio palmo,
chiedono di essere rimodellate con capelli scompigliati, o tirate
dalla mia cute col tuo pettine caldo. Lo specchio riflette
e lo specchio rivela. Sono arrivata fin qui e ho aspettato in vanità;
ho pagato il pedaggio per guardare le mie radici ribelli piene di schiuma,
formaldeide scadente brucia sulla pelle.
Per dei bei capelli farei di tutto. Pagare il prezzo della dignità,
inviare vergini in India per il raccolto quotidiano; miglia
di capelli brillantinati venduti per migliaia nelle strade.
Veniamo ancora da loro tutti gli anni con le nostre monetine,
intere nottate passate in ginocchio, le nostre preghiere sussurrate
da un orecchio all’altro, sperando di svegliarci con ricci aperti e morbidi,
onde nere separano ciocche di miele.
Ma come potevamo sapere della nostra povertà?
Che i bei geni di nostra madre sarebbero diventati erbaccia,
che avrei sperperato tutta la sua fortuna mulatta.
Questi capelli da nera, la mia più grande malattia.
Così spessi da tener su una matita.
Little Red Plum
Crisis in the night.
My heart a little red plum
in my mouth. Glowing
its small fire in the dark.
How you, hand on my breast,
open my little animal cage
to watch me burn, eyes
marveling at the birds
that rush out. My voice rising
red balloons in the air. My hands
find a bright cardinal bleeding
through your shirt, my name
spreading softly on your tongue.
Swift cherry vine galloping,
stitching warm skin to skin.
I reach for you, reach into
the feathers of the dark,
wanting to stay here, wanting
to press each hour into vellum
so tomorrow I may search
and find our little blossom
still Unfurling there. I slip slowly
into your light, kiss my red
plum into your mouth.
Here. I give you all of me
in this little pink cup: hot mouthfuls
of fevergrass, of wild Jamaican
mint. Here, in the shadow of this
hothouse room, a red hibiscus
blooms and blooms.
Piccola Susina Rossa
Crisi nella notte.
Il mio cuore è una piccola susina rossa
nella mia bocca. Splende
il suo piccolo fuoco nel buio.
Come tu, mano sul mio petto,
apri la mia piccola gabbia per animali
per guardarmi bruciare, con occhi che
ammirano gli uccelli
che fuggono. La mia voce innalza
palloncini rossi nell’aria. Le mie mani
trovano un cardinale vivace sanguinante
nella tua maglietta, il mio nome
si spande lievemente sulla tua lingua.
I pomodorini maturano velocemente,
suturano pelle calda a pelle.
Ti cerco, cerco tra
le piume delle tenebre,
volendo rimanere qui, volendo
comprimere ogni ora nella pergamena
così che domani possa cercare
e trovare il nostro piccolo bocciolo
che si sta ancora schiudendo. Scivolo lentamente
nella tua luce, bacio la mia susina
rossa nella tua bocca.
Qui. Ti dono tutta me stessa
in questa piccola tazza rosa: caldi bocconi
di citronella, di menta selvatica
giamaicana. Qui, nell’ombra di questa
serra, un ibisco rosso
fiorisce e sboccia.
Traduzione di Emanuele Emma ed Emanuela Falco.